007. NO TIME TO DIE
Sabato 16 ottobre - ore 18.00 e 21.00
Domenica 17 ottobre - ore 16.00 e 20.30
“Abbiamo tutto il tempo del mondo” dice all’inizio Bond alla “sua” Madeleine. Ma il tempo non è mai abbastanza. Per vivere. Per amare. Per morire. Ne sa qualcosa Felix Lauter, l’amico americano di 007, quando gli domanda: “È la vita migliore?” “Sì è la migliore” risponde James. Anche se per esserne certi non basta avere la licenza di uccidere, ma anche quella di poter dire, almeno per una volta, “Ti amo”. Già. Trasuda romanticismo questo Bond 25. E le struggenti note di We have all the time in the world di Louis Armstrong sui titoli di coda certificano il costante dialogo tra questo No Time to Die e Al servizio segreto di Sua Maestà del 1969, l’altro film del Bond “innamorato”, interpretato dallo sfortunato George Lazenby ma di fatto uno dei capolavori della saga.
Recensione
Si inizia con un “film nel film” che racconta già tutto ed espone linee tematiche e visive: il lungo prologo (20’) mette insieme flashback, love story, azione, conflitti interiori e lo fa relegando l’eroe quasi in secondo piano rispetto alla donna. Con una chiosa alla stazione dei treni che sembra un film di Lelouche. Insomma il cuore pulsante e i segni della “rivoluzione” arrivano ancor prima che Billie Eilish canti “I should have known, I’d leave alone” nella title track e che il volto cicatrizzato di Rami Malek faccia la sua entrata in scena con l’arma segreta Heracles, un veleno terribile che contagia le persone e le uccide in base al DNA (andare subito alla voce preveggenze/iperstizioni dell’immaginario sulla realtà please).
Ovviamente siamo di fronte a uno dei capitoli cruciali della serie, che porta a compimento il processo di ricostruzione del personaggio incarnato da Daniel Craig a partire da Casinò Royale, processo poi accelerato dagli innesti freudiani e arty nei mendesiani Skyfall e Spectre. Ricostruzione o decostruzione? Per la prima è necessaria la seconda sembrano volerci dire l’americano Cary Fukunaga e gli sceneggiatori Neal Purvis e Robert Wade, a cui si aggiunge il determinante tocco femminile della Phoebe Waller-Bridge di Fleabag. Ecco allora il Bond più devirilizzato di sempre. Che a volte viene addirittura salvato dalle “sue” Bond girl. Fantastica in tal senso la Paloma di Ana de Armas nell’episodio a Cuba. Entra ed esce dal film come un’apparizione, muscolare e autoironica allo stesso tempo. E poi c’è il secondo 007, l’alter ego femminile incarnato dalla giamaicana Lashana Lynch, quasi una versione ucronica dell’agente segreto in chiave #metoo e #blacklivesmatter, a cui non a caso viene affidata l’uccisione più liberatoria e “politica” del film.
Simone Emiliani
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