8 ½
(Drammatico / Italia / 1963 / 138’)
Venerdì 29 novembre – ore 20.30
Sabato 30 novembre – ore 16.00
Restaurato da CSC – Cineteca Nazionale
Al suo ottavo film e mezzo, Fellini realizza un potente autoritratto, privo di reticenze, specchiandosi in un regista sorpreso da un’improvvisa crisi creativa, invaso dalle visioni fantasmatiche del passato e in balia dei rimorsi derivanti dalla sua contraddittoria vita privata. Dopo La dolce vita, è il film che sancisce il sodalizio, e la definitiva sovrapposizione, tra Mastroianni e Fellini. “Io ho avuto anche il privilegio di diventare amico di Federico. Grazie a questo, ho potuto trasferire sullo schermo piuttosto facilmente anche il Fellini autobiografico di 8½. Anzi con 8½ tutto andò ancora meglio. C’erano i suoi tic, le sue cose, le sue facce” (Marcello Mastroianni).
Recensione
Come si fa a scrivere qualcosa di nuovo su 8 ½? A trent’anni dalla scomparsa del più celebrato cineasta italiano di tutti i tempi, in molti stanno tornando a operare le più varie riflessioni sul suo film più personale e discusso. Allora si dovrebbe doverosamente iniziare a parlare di una stagione unica del cinema italiano, che sfoderava “maestranze” del calibro di Nino Rota, Gianni di Venanzo, Ennio Flaiano, Piero Gherardi, ecc. O ancora ricordare la crisi di ispirazione di Fellini dopo il trionfo planetario de La dolce vita, risolta/risorta con questo film. E poi magari tirare in ballo l’autoriflessività, il poststrutturalismo, la sperimentazione sulla forma e sul linguaggio, ecc, ecc, ecc. No. Cose già dette, assodate, scolpite dal tempo, sui libri di storia.
Parliamo dell’oggi. Cerchiamo di comprendere il Fellini “spettatore” contemporaneo. E allora: lo sguardo disperato di Marcello nel finale de La dolce vita è un punto di non ritorno, il controcampo traumatico, costante e pe(n)sante di questo 8 ½. Fellini, insomma, sa. È perfettamente consapevole che Tutti (genitori e cardinali, produttori e amanti, critici e comparse, mogli e star depresse, maghi e portaborse, persino il suo amato pubblico…) lo spingono al “capolavoro”, alla grossa riflessione filosofica sull’arte e sulla vita, sull’amore e sulla morte, sulla memoria e sul tempo. Su tutti noi.
“Tu saresti capace di piantare tutto e cominciare la vita daccapo? Di scegliere una cosa, una cosa sola, e di essere fedele a quella, riuscire a farla diventare la ragione della tua vita. Una cosa che raccolga tutto, che diventi tutto, proprio perché è la tua fedeltà che la fa diventare infinita”.
Federico/Guido, pertanto, si impegna sfidando continuamente se stesso e riesce ad ammaliare il mondo con la sua aggressiva e irresistibile sfrontatezza teorica. Ma, in fondo, non è questo ciò che conta. E Fellini, ancora una volta, lo sa: da fedele amante del circo sa bene che la grandezza di uno spettacolo non si misura nel “numero” a effetto, ma in quel che c’è nel “mezzo”, nel retroscena della vita dove ci si gioca tutto per riuscire a ricevere l’applauso finale. Ed è nel mezzo di sequenze perfette e studiatissime nella loro minuziosa orchestrazione filmica (ammettendo raramente la rosselliniana pressione del fuoricampo) che in 8 ½ si riesce comunque, “magicamente”, a sentire l’anarchia di uno sguardo bambino e spaventato (gli occhi sempre in campo di Mastroianni, asa-nisi-masa), che chiede lumi ai suoi genitori morti cercandone disperatamente di nuovi (produttori, compagne, intellettuali) per arrivare alla conclusione che far naufragare tutta l’impalcatura della macchina/cinema per lasciare libero il “vento” del sentimento è la sola strada percorribile. Tornare semplicemente a essere la creaturella che vaga sorridente tra le ombre e le donne: “ma che cos’è questo lampo di felicità che mi fa tremare, mi ridà forza, vita…”
E allora: uno dei grandi meriti di questo film – forse ciò che lo renderà “eternamente” contemporaneo – è l’essere riuscito a configurare con sincerità lancinante che l’inadeguatezza dell’uomo/regista di fronte alla complessità dell’esistere è il vero cuore pulsante del Cinema. La sua imperfezione. Perché il cinema non fotografa la vita, è vita, e forse in questa consapevolezza a monte si possono tracciare sotterranee linee di contatto tra due “universi” per il resto straordinariamente paralleli come quelli di Fellini e Rossellini. Insomma nella sua geometrica nettezza formale 8 ½ è il film che spalanca le porte al secondo periodo della produzione dell’autore: quello dell’eterno Block Notes di un regista (i personali “appunti” su Satyricon e Casanova, Roma e le donne) e dei formidabili ritrattini umani (dalle piccole Amarcord agli amati Clown, dalla sublime Intervista ai fantasmi di Ginger e Fred). L’uomo che ha conquistato il mondo restando un “ragazzo di provincia” come diceva Orson Welles. L’uomo che cercava solo la voce della luna in fondo a un pozzo. L’uomo che sino all’ultimo ha profeticamente continuato a urlare la vita (Viva il cinema!) a ogni primo e fragile vagito di morte…
Pietro Masciullo, sentieriselvaggi.it