A COMPLETE UNKNOWN
(U.S.A. / Biografico / 141')
Sabato 01 febbraio – ore ore 20.00
Domenica 02 febbraio – ore 15.00, ore 18.00 e 20.30*
* Spettacolo in Versione Originale Sottotitolata in italiano
Dal 1961 al 1965. Parte il viaggio di Bob Dylan: l’incontro determinante con Woody Guthrie, l’arrivo a New York, la scalata al successo e l’edizione del Newport Folk Festival del 1965 dove c’è stata la svolta. Lì, il 25 luglio, il pubblico lo ha fischiato quando non ha apprezzato i nuovi brani di Highway 61 Revisited in cui è incluso anche Like a Rolling Stones, canzone di sei minuti che è tra le tappe decisive di tutta la musica di Dylan. Il suo personaggio è introdotto all’inizio a Guthrie da Pete Seeger, tra i più conosciuti folk-singer statunitensi dove Edward Norton è di una bravura mostruosa. A Complete Unknown non è un biopic o, almeno non soltanto. Sembra vagabondare sulle note della musica di Dylan e portarci lontano.
Recensione
Mangold ha superato se stesso. Quando l’amore brucia l’anima. Walk the Line era già strepitoso. A Complete Unknown lo è ancora di più. Dettagliato nei particolari, ma anche sfuggente, e pieno di una passione inebriante. Quando è finito, dopo circa due ore e venti di durata, è stato come un brusco risveglio. Perché quel flusso musicale ma anche sonoro, ha alterato tutte le percezioni. Con lo spazio. Con il tempo. È un risveglio brusco proprio come quello alla fine di Strange Days di Kathryn Bigelow, dove l’elemento sonoro e l’immagine diventano una cosa sola. Anche sotto questo aspetto, A Complete Unknown dialoga continuamente con Walk the Line. Non un sequel ma un incrocio. Bob parla per la prima volta a Pete di Johnny Cash quando sono in macchina, poi c’è una lettera di ammirazione e infine l’incontro. La scena a Newport in cui Johnny porge la chitarra a Bob mostra non solo come il cinema di Mangold non ha bisogno di neanche un dialogo perché può parlare solo coi gesti, ma è un illusorio, bellissimo ponte tra i due film. In A Complete Unknown ‘l’amore (non) brucia l’anima’, ma diventa solo il passaggio tra il passato (ogni silenzio di Woodie Guthrie è più ricco di mille testimonianze sulla tradizione della musica folk) e il futuro. Il finale in moto potrebbe essere anche una visione alla George Miller della saga di Mad Max. Illusione? Ipnosi? Chissà. Poi certo, c’è il seguito, il Nobel per la letteratura. Ma questa è un’altra storia, forse un altro film
L’estasi della bellezza Joan Baez e Bob Dylan cantano insieme Blowin’ in the Wind. Oltre alla musica, i corpi. A Complete Unknown cattura ‘l’attimo fuggente’, lo amplifica e lo dilata. Dietro a questa scena c’è un cinema che celebra la bellezza assoluta. Dell’arte, della vita, degli attori. Oltre che con Guadagnino, qui Chalamet sembra una star anni ’40, così come una bravissima Elle Fanning nei panni di Sylvie e Monica Barbaro in quelli di Joan Baez che ogni volta che compare nell’inquadratura provoca un terremoto ed era già stata una stella col ruolo del tenente Natasha “Phoenix” Trace in Top Gun: Maverick. Si, c’è la Hollywood classica (ancora!) ma anche i richiami Nouvelle Vague (siamo all’inizio degli anni ’60) dove ogni gesto seduzione bacio scontro addio mostravano una continua morte e rinascita. Della vita e del cinema. A Complete Unknown è di una bellezza straripante, che si scorge dappertutto. Un atto d’amore assoluto che, per citare una frase di Dylan, “porta noi stesso in un altro posto dove siamo degli estranei”. Come col cinema di Ophūls, si balla dall’inizio alla fine. Si, è una festa. Anzi, una bellissima festa.
Simone Emiliani, www.sentieriselvaggi.it