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ANATOMIA DI UNA CADUTA

un film di Justine Triet
(Francia / 2023 / Thriller / 150’)

15, 16, 17, 18 aprile 2024

Anatomia di una caduta si svolge in una zona remota delle Alpi francesi. Sandra è una scrittrice tedesca che vive in uno chalet di montagna con il marito Samuel e il figlio undicenne Daniel, non vedente. Un giorno Samuel viene trovato morto, immerso nella neve davanti a casa. La principale sospettata per la morte è sua moglie Sandra, che viene incriminata d’ufficio. A un anno di distanza dalla morte dell’uomo, la scrittrice e suo figlio Daniel sono convocati in tribunale per il processo. Quando la donna viene interrogata sulla sua relazione con il marito, viene a galla il ritratto di un rapporto difficile e tormentato. La donna mostra una personalità a tratti disturbata e il figlio, costretto ad assistere, vive un profondo conflitto interiore. Nel momento in cui anche Daniel viene interrogato, la storia si rivela ancora più intricata.

Recensione

Un congegno, il cineracconto processuale, rimesso a nuovo per inoltrarsi nei chiaroscuri del presente, soprattutto la condizione femminile e la sua percezione-sedimentazione nel conscio e inconscio collettivi. E una donna è qui sul banco degli imputati, scrutata, esaminata senza tregua dalla macchina da presa, dagli sguardi del pubblico in aula e da quelli di noi spettatori in sala. L’abilità di Justine Triet sta, oltre che nella confezione ineccepibile e senza smagliature, davvero di alto artigianato (in una perfezione da cinema classico che ne fa un oggetto anche fin troppo chiuso, roccioso, imperforabile), nel riuso concettuale del genere del courtroom drama, piegandolo senza apparenti forzature a un’analisi-radiografia-vivisezione-anatomia della (in)consistenza dell’amore oggi, dei tormenti e della forse definitiva impossibilità delle relazioni uomo-donna, soprattutto all’interno dei vincoli coniugali. Il thriller da aula giudiziaria si congiunge senza proclamarlo ad alta voce – e quindi ancora più efficacemente – a un altro genere di matrice più autorialistica, quello che possiamo bergmanianamente dire “scene da un matrimonio”. A Triet regista e co-sceneggiatrice riesce di mettere a punto un notevole ritratto femminile, di una densità psicologica, di una complessità e ambiguità sconosciute al cinema di puro genere, e nello stesso tempo di farne la materia di un prodotto (sia detto nella migliore accezione) di solido intrattenimento che trascina chi guarda nell’altalena del dubbio tra colpa e innocenza. Una storia avvelenata, tossica. Triet, senza troppo forzare in proclami dalla-parte-delle-donne e facili metooismi, suggerisce come l’asimmetria nel successo sociale tra lui e lei, soprattutto quando a essere riconosciuta è lei e il penalizzato è lui, sia una delle dannazioni di coppia della nostra contemporaneità, mostrando attraverso il dispositivo del thriller come la rivalità, la lotta darwiniana per sopravvivere ed emergere nel mondo sia penetrata all’interno della coppia e l’abbia devastata. Il resto è una sceneggiatura di precisione ingegneristica, dove anche l’immancabile colpo di scena è, oltre che inaspettato, pure verosimile, il che non accade spesso nemmeno nei migliori gialli.
Luigi Locatelli, www.nuovocinemalocatelli.com