ASTOLFO
Astolfo è un professore in pensione che vive a Roma in un vecchio appartamento da cui viene gentilente sfrattato. Gli affitti sono lievitati e il professore decide di tornare in provincia, sulle colline di Artena dove è ubicato il palazzo nobiliare di famiglia. I suoi grandi salotti polverosi sono abitati da un povero diavolo caduto in disgrazia come lui. Insieme decidono di affrontare il presente, il sindaco, che ha costruito sulle terre appartenute in un tempo remoto alla sua famiglia, e un prete invadente, che ha murato il suo salone e occupato le sue stanze per la ricreazione. Ma l’amore per Stefania, una bella signora introdotta dal cugino farfallone, scuoterà l’ordinarietà del quotidiano e darà un senso nuovo alla sua esistenza. Un vecchio ragazzo, un po’ smarrito e vagabondo, che attraversa la vita con una sorta di candore e di inerzia gioiosa. Un’attitudine che è una dichiarazione di estetica, una maniera di abitare poeticamente il mondo che apre con Astolfo una possibilità. Spalanca un orizzonte nuovo che risale le colline laziali fino ad Artena, un piccolo comune di anime placide.
Recensione
Nel cinema di Di Gregorio le virate in auto sono l’occasione di piccole follie e prendono la forma di digressioni liriche o di escursioni sentimentali. Erede di un paladino franco che fece l’impresa, quella grande e cavalleresca che lustra il blasone, annette terreni e ritrova il senno di Orlando, Astolfo è l’inverso del suo antenato, una creatura alla ricerca di un riparo. Non cavalca ippogrifi, il professore, ma una Panda che lo conduce lontano dall’agitazione urbana verso un luogo bucolico dove scrive un’altra delle sue avventure, una favola scanzonata, meravigliosamente interpretata, che ha ancora una volta il merito di rendere visibile la vecchiaia. Se tutte le strade portano a Roma, qualcuna permette di uscirne. Per necessità. Un contratto d’affitto scaduto e una pensione minima. Ma anche lontano dalla capitale, le relazioni umane, l’amicizia e l’aiuto reciproco restano il cuore battente del suo cinema dagli accenti romani affilati. Le espressioni dialettali che punteggiano le sue conversazioni, la sua ironia, la sua grande cultura e la sua ‘ignoranza’ tranquilla disegnano la sua appartenenza a una città e a un territorio che a questo giro di auto si allarga a comprendere la bella provincia laziale.”Quivi ebbe Astolfo doppia meraviglia: che quel paese appresso era sì grande, il quale a un picciol tondo rassimiglia a noi che lo miriam da queste bande…”. Lo spazio che si apre agli occhi del nostro Astolfo non è la Luna di Ariosto ma come “lassù” ha fiumi, laghi e campagne, città, valli e castelli dove una dama lo attende da sempre. È Stefania (Sandrelli), musa discreta e determinata, che lo innamora.
Marzia Gandolfi, www.mymovies.it