Barry Lyndon
Sabato 27/09 - ore 20 e 22.15
Domenica 28/09 - ore 16, 18 e 20.30
Dal “romanzo senza eroe” di William M. Thackeray (1844), sceneggiato dallo stesso Kubrick, Barry Lyndon è il Settecento percorso come un museo di cera (l’incarnato dei volti, il lume delle candele), come un colto sprofondamento allucinatorio nella pittura d’epoca.
Vivono, questi tableaux, vivono ansiosamente di ambizioni fallaci, rovine annunciate, sentimenti corrotti, disillusioni, soprusi, umiliazioni: e l’impossibile ascesa dell’avventuriero Redmond Barry, che sposa l’aristocratica Lady Lyndon, “traccia una parabola che conduce al nulla” (Michel Ciment).
A Thackeray, grande scrittore inglese in quegli anni Settanta poco ricordato e poco tradotto (e pure oggi…), Kubrick si avvicina con semplicità e trasparenza: “Amavo la vicenda e i personaggi di Barry Lyndon, e mi parve possibile farne una trasposizione senza distruggerlo”. Inventa per Barry solo un diverso finale, restituendo però a Thackeray la battuta che chiude il film – capolavoro d’ironia tragica che potrebbe funzionare, in fondo, come exergo o nota in calce a tutto il cinema di Kubrick.
Scheda tecnica
Titolo Originale
Risate di Gioia
Regia
Stanley Kubrick
Paese, anno
Italia,196
Genere
Commedia
Durata
106'
Sceneggiatura
Suso Cecchi D’Amico, Age, Scarpelli, Mario Monicelli
Fotografia
Leonida Barboni
Colonna sonora
Lelio Luttazzi
Montaggio
-
Interpreti
Anna Magnani, Totò, Ben Gazzara, Fred Clark, Edy Vessel, Mac Ronay
Recensione
Dal “romanzo senza eroe” di William M. Thackeray (1844), sceneggiato dallo stesso Kubrick, Barry Lyndon è il Settecento percorso come un museo di cera (l’incarnato dei volti, il lume delle candele), come un colto sprofondamento allucinatorio nella pittura d’epoca.
Vivono, questi tableaux, vivono ansiosamente di ambizioni fallaci, rovine annunciate, sentimenti corrotti, disillusioni, soprusi, umiliazioni: e l’impossibile ascesa dell’avventuriero
Redmond Barry, che sposa l’aristocratica Lady Lyndon, “traccia una parabola che conduce
al nulla” (Michel Ciment).
A Thackeray, grande scrittore inglese in quegli anni Settanta poco ricordato e poco tradotto (e pure oggi…), Kubrick si avvicina con semplicità e trasparenza: “Amavo la vicenda e
i personaggi di Barry Lyndon, e mi parve possibile farne una trasposizione senza distruggerlo”. Inventa per Barry solo un diverso finale, restituendo però a Thackeray
la battuta che chiude il film – capolavoro d’ironia tragica che potrebbe funzionare, in fondo, come exergo o nota in calce a tutto il cinema di Kubrick.
Dal “romanzo senza eroe” di William M. Thackeray (1844), sceneggiato dallo stesso Kubrick, Barry Lyndon è il Settecento percorso come un museo di cera (l’incarnato dei volti, il lume delle candele), come un colto sprofondamento allucinatorio nella pittura d’epoca.
Vivono, questi tableaux, vivono ansiosamente di ambizioni fallaci, rovine annunciate, sentimenti corrotti, disillusioni, soprusi, umiliazioni: e l’impossibile ascesa dell’avventuriero
Redmond Barry, che sposa l’aristocratica Lady Lyndon, “traccia una parabola che conduce
al nulla” (Michel Ciment).
A Thackeray, grande scrittore inglese in quegli anni Settanta poco ricordato e poco tradotto (e pure oggi…), Kubrick si avvicina con semplicità e trasparenza: “Amavo la vicenda e
i personaggi di Barry Lyndon, e mi parve possibile farne una trasposizione senza distruggerlo”. Inventa per Barry solo un diverso finale, restituendo però a Thackeray
la battuta che chiude il film – capolavoro d’ironia tragica che potrebbe funzionare, in fondo, come exergo o nota in calce a tutto il cinema di Kubrick.
Dal “romanzo senza eroe” di William M. Thackeray (1844), sceneggiato dallo stesso Kubrick, Barry Lyndon è il Settecento percorso come un museo di cera (l’incarnato dei volti, il lume delle candele), come un colto sprofondamento allucinatorio nella pittura d’epoca.
Vivono, questi tableaux, vivono ansiosamente di ambizioni fallaci, rovine annunciate, sentimenti corrotti, disillusioni, soprusi, umiliazioni: e l’impossibile ascesa dell’avventuriero
Redmond Barry, che sposa l’aristocratica Lady Lyndon, “traccia una parabola che conduce
al nulla” (Michel Ciment).
A Thackeray, grande scrittore inglese in quegli anni Settanta poco ricordato e poco tradotto (e pure oggi…), Kubrick si avvicina con semplicità e trasparenza: “Amavo la vicenda e
i personaggi di Barry Lyndon, e mi parve possibile farne una trasposizione senza distruggerlo”. Inventa per Barry solo un diverso finale, restituendo però a Thackeray
la battuta che chiude il film – capolavoro d’ironia tragica che potrebbe funzionare, in fondo, come exergo o nota in calce a tutto il cinema di Kubrick.
1. Vivono, questi tableaux, vivono ansiosamente di ambizioni fallaci, rovine annunciate.
2. Entimenti corrotti, disillusioni, soprusi, umiliazioni: e l’impossibile.
3. Ascesa dell’avventuriero mediacritica.it.
4. Redmond Barry, che sposa l’aristocratica Lady Lyndon, traccia una parabola.
Stanley Kubrick
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Filmografia
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- Consectetur elit, 1968
- Nam Nam, 1970
- Luctus Bibendum, 1977
- Luctus Bibendum, 1977
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