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BLACK DOG

un film di Guan Hu
(Cina / Drammatico / 106')

05, 06, 07, 08 maggio

Un campo lunghissimo inquadra un paesaggio desertico all’interno del quale si introduce da lontano un pullman in viaggio. Nulla sembra poter minacciare la sua traversata da una parte all’altra dello schermo. Con una lenta panoramica l’attenzione si sposta su un grande branco di cani randagi, che, in un crescendo di tensione, si scagliano proprio contro il pullman, causandone il ribaltamento. Si apre con questa sequenza, a metà tra Interceptor di George Miller e L’isola dei cani di Wes Anderson, Black Dog di Guan Hu, vincitore della sezione Un Certain Regard al 77° Festival di Cannes.

Recensione

Un inizio esplosivo, in contrapposizione con la lentezza di quanto verrà dopo, ma furbo, perché affascina lo spettatore e si assicura la sua attenzione per l’intera durata del film. Siamo nella Cina del 2008 che si prepara ad ospitare le Olimpiadi. Sul pullman dell’incidente sta viaggiando Lang, ex motociclista acrobata che sta tornando nella sua città natale, nei pressi del deserto del Gobi, dopo 10 anni trascorsi in carcere per l’omicidio del nipote del boss locale Butcher Hu. Arruolato per catturare un cane randagio che semina il terrore nei suoi concittadini, Lang diventa suo amico, in una storia di rivalsa che vedrà i due alla ricerca di quella dignità che il mondo circostante vorrebbe sottrargli. Black Dog nel raccontare tutto ciò si prende i suoi tempi, preferendo all’azione la possibilità di indugiare un secondo in più sul contesto in cui la storia si svolge. Quest’ultimo è il vero protagonista, un ambiente che è stato abbandonato al passato in nome della costruzione, lontano da lì, di una facciata da vendere allo sguardo esterno. La grande crescita della Cina degli ultimi decenni è quindi affrontata dal punto di vista di chi ne è rimasto escluso. Per una Pechino che si prepara alla festa, alla messa in scena da presentare al resto del mondo, c’è anche chi vive tra i palazzi sventrati, incapace ormai di mantenere il controllo sulla propria città, cedendolo proprio ai cani. Lang e i suoi concittadini altro non sono che questo, la polvere da nascondere in fretta e furia sotto il tappeto, in un salotto che si prepara a ricevere un ospite d’onore.
In una simile spirale che sembra trascinarlo sempre più in basso, Lang, privato di qualsiasi fiducia nei confronti di chi lo circonda (non a caso nel film non parla mai, con nessuno), si aggrappa ad un cane outsider quanto lui. Ne abbiamo viste tante di storie simili negli ultimi anni di cinema. In Dogman di Garrone la rivalsa condivisa era segnata da una violenta esplosione della rabbia repressa negli anni, mentre nell’omonimo film di Besson (2023) il riscatto passava da piani scaltramente ingegnati in cui l’uomo è la mente e l’animale il suo braccio. Qui siamo invece di fronte ad un legame cane-padrone in cui tutto è pervaso dalla speranza, con i due che diventano l’uno per l’altro un motivo per continuare a resistere contro coloro che sempre più li respingono, una ragione per provare ancora a vivere in un posto tanto morto quanto mortifero. Ecco quindi che forse l’unica possibilità è quella di partire insieme lasciandosi tutto alle spalle: quell’amicizia, nata quando Lang ed il suo Black Dog erano arrivati a toccare il fondo, altro non è che la possibilità per raddoppiare la forza della spinta verso l’alto, verso una nuova vita.
Matteo Pivetti, www.sentieriselvaggi.it