BLACKkKLANSMAN
Domenica 07 luglio, ore 21.30
Anfiteatro di Palazzo Toaldi Capra
via Pasubio, 52 – Schio (VI)
In caso di maltempo gli spettacoli saranno annullati.
Recensione
Siamo negli anni Sessanta in America, nella provincia che più provincia non si può, a Colorado Springs, lontano dai conflitti del movimento per i diritti civili dell’Alabama o del Mississippi, ma lontano anche dalle città come Oakland o Detroit dove i movimenti black urbani, su tutti le Black Panthers, iniziavano ad acquistare consenso. Ron Stallworth, capelli afro e stile blaxploitation alla Shaft, è un giovane aspirante detective che vorrebbe iniziare a lavorare nella polizia della città: primo poliziotto di colore in assoluto a fare il detective in quella sede. «Che cosa faresti se un collega ti chiamasse ni**er?» è una delle prime domanda che gli fanno al colloquio. Lui all’inizio è fedele alla divisa e crede nella missione democratica della polizia, anche quando lo mandano come infiltrato in un gruppo di Black Panthers locali. Ma il comizio di Stokely Carmichael (che in quegli anni aveva appena cambiato il nome in Kwame Ture) è un’illuminazione: Spike Lee gira una memorabile sequenza di comizio con continui controcampi dei volti del pubblico trasfigurati in icone su sfondo nero. Per Ron Stallworth – che si innamora immediatamente anche della bellissima leader locale del sindacato degli studenti neri – è l’inizio di un percorso di presa di coscienza politica. Perché in questo film, come in tutte le commedie come si deve, la maschere e i travestimenti sono momenti di verità più della stessa realtà: e se lui inizierà a prenderci gusto a fare l’infiltrato e da agente di colore inizierà a monitorare telefonicamente niente meno che il Ku Klux Klan, sarà il suo collega Flip Zimmerman, ebreo, che andrà materialmente alla riunioni incappucciato (perché il KKK è tanto razzista contro i neri quanto anti-semita contro gli ebrei) e finirà per fare esperienza di una singolare alleanza politica con il radicalismo black. Sembra una barzelletta: un nero e un ebreo che in poco tempo diventano leader della sede locale del Ku Klux Klan. Eppure Spike Lee usa la commedia per riuscire a isolare meglio gli elementi affatto seri della realtà contemporanea americana. Le parole della commedia insomma non sono la caricatura del reale, non servono ad alleggerire quello che di insopportabile c’è nella politica reazionaria degli Stati Uniti di oggi, ma sono semmai uno strumento (forse l’unico in questo momento e senz’altro il più efficace) per riuscire a prenderle seriamente, laddove la parodia, il dramma e la denuncia si sono ormai dimostrate armi spuntate. Così BlacKkKlansman riesce nell’effetto di straniamento di farcele sentire autenticamente per la prima volta, anche quando oggi escono dalla bocca di un Presidente degli Stati Uniti che è in diretta continuità con quel Thomas Woodrow Wilson che più di un secolo fa fece vedere Nascita di una nazione, il film di D. W. Griffith che canta le lodi del Ku Klux Klan, alla Casa Bianca.
Fonte: http://www.cineforum.it/recensione/BlacKkKlansman