BRIAN AND CHARLES
In un paesino del Galles rurale, il solitario e bizzarro Brian lavora come tuttofare per le signore della zona e si diverte a costruire ingegnosi congegni meccanici che funzionano di rado. Dopo aver trovato la testa di un manichino nei rottami che si diverte ad assemblare, Brian costruisce un robot dalle dimensioni umane.
In una notte di tempesta, incredibilmente il robot si anima e comincia a interagire con Charles, parlando un perfetto inglese imparato dal dizionario e dicendo di chiamarsi Charles Petrescu. Brian finalmente trova un amico in Charles, ma i problemi cominciano quando il robot comincia a chiedere
di uscire dalla loro proprietà e una volta convinto Brian a portarlo con sé durante i suoi lavori viene notato da Hazel, una giovane donna di cui Brian è innamorato…
Recensione
Il mondo della comicità ne ha visti di personaggi stravaganti che hanno fatto la storia, incastonandosi nella memoria collettiva. Di conseguenza, non è mai facile riuscire a spiccare in un panorama così agguerrito, pieno di voci differenti e, spesso, divergenti. Eppure, dal cilindro della comicità qualcosa di diverso rispetto al solito coniglio continua ancora a uscire. Il caso è quello del particolare duo composto da Brian e Charles. La genuinità è una qualità che non si trova spesso nel mondo dell’intrattenimento. Far ridere il pubblico è un obiettivo il più delle volte preso come una necessità, qualcosa a cui non si può sfuggire e che si deve per forza esibire con goliardica esasperazione. Un film come Brian e Charles è uno degli ultimi baluardi di una comicità che prova effettivamente a raccontare qualcosa, che sia una storia, un coacervo di relazioni interpersonali o anche solo una serie di incontri fortuiti.
Le vicende girano attorno a Brian Gittins, un eccentrico inventore che abita in un isolato cottage perso nella campagna gallese. Un giorno, ha l’idea di costruire con le sue mani un robot utilizzando scarti di ogni sorta, dalla testa di un manichino trovata nell’immondizia a una lavatrice scassata. Il risultato di questo processo “fai da te” è Charles Petrescu, automa senziente capace di parlare attraverso un software di sintesi vocale. Le avventure di Brian e Charles sono rappresentate su schermo come se stessimo assistendo a un documentario, andando ad adottare lo stile del “mockumentary”, se inizialmente ritroviamo l’atmosfera semi-realistica (e per questo molto esilarante), la centralità dell’intreccio narrativo subisce un’impennata tale da necessitare soluzioni stilistico-formali che vanno a mettere in secondo piano le fondamenta documentaristiche sulle quali si sorregge la pellicola stessa. Se non fosse per questa costante ricerca di quel “qualcosa in più” il film risulterebbe una delle opere comiche più inquadrate, solide e originali degli ultimi anni. Ciò grazie a quanto sorregge questo prodotto inusuale, a partire dalla strabiliante chimica che lega le esilaranti interpretazioni di Earl e Hayward.
Brian e Charles è un prodotto cinematografico inusuale. Non tanto perché è chissà quanto originale, ma per il suo carattere sincero e affabile. Ogni sequenza, ogni inquadratura, ogni battuta è avvolta da una genuinità negli intenti che raramente si riscontra all’interno di un panorama mediatico così agguerrito ed egocentrico. Ascoltando quelle interazioni, quegli scambi impacciati, quei silenzi imbarazzanti che precedono le risposte del robot Charles Petrescu si percepisce una sorta di affezione per il pubblico da parte di chi ha concepito tali momenti. Questo racconto non è fine a se stesso: dialoga costantemente con lo spettatore, lo mette a suo agio nel disagio e fa ciò non raccontando una storia d’amore, ma raccontando dell’amore, dell’odio, della voglia di immaginare, di vivere. Charles è Brian e Brian è Charles. E noi siamo entrambi, un po’ persi nei nostri sogni, un po’ spaventati e allo stesso tempo elettrizzati dal cambiamento. Brian e Charles è questo e anche di più. Brian e Charles è cinema. Brian e Charles è vita.
Mattia Pescitelli, www.madmass.it