C’MON C’MON
Il nostro futuro
Johnny (Joaquin Phoenix) è un giornalista radiofonico solitario ma gentile, impegnato in una serie di interviste in giro per gli Stati Uniti a bambini e ragazzi circa la loro percezione del futuro. La sua routine subisce uno scossone quando sua sorella Viv (Gaby Hoffmann), impegnata a prendersi cura del marito con problemi psichiatrici, gli chiede di badare al suo nipotino Jesse (Woody Norman). In un viaggio attraverso New York, Los Angeles e New Orleans Johnny si avventura nei meandri più complessi della genitorialità. A tenerlo per mano un bambino irrefrenabilmente curioso che, maturando, permetterà allo zio di immergersi l’effervescenza dell’infanzia.
Recensione
Un confronto generazionale
La potenza di un piccolo film come C’mon C’mon sta nella capacità di instaurare una meravigliosa e palpitante dialettica tra generazioni apparentemente agli antipodi. L’adulto disilluso porge l’orecchio alla voce frizzante del bambino sognatore, e scopre attraverso essa un universo di speranze genuine, inaspettatamente consapevoli dell’incertezza che scombussola la contemporaneità. Il fanciullo bramoso di affetto posa il suo sguardo limpido sulle idiosincrasie dell’età adulta, le scruta e ne resta affascinato. Fa fatica inizialmente a comprenderne l’origine, ma poi si accorge che, in fondo, la ricerca dell’essere umano è perpetuamente rivolta a carpire frammenti di felicità, riflessi d’amore. Un’esplorazione emozionale che passa attraverso interviste, letture notturne, battibecchi, giochi strampalati e trova la sua sintesi dirompente nel calore di un abbraccio. Un incontro generazionale che ridefinisce la percezione dell’infanzia, cui viene data finalmente la giusta voce, e della stessa età adulta, raccontata in tutta la sua precarietà.
Un tenero passo a due
A tenere il tempo di C’mon C’mon è il tenero passo a due tra i protagonisti Joaquin Phoenix e Woody Norman. Il primo si spoglia di qualunque virtuosismo interpretativo, e con la maestria di un attore maestoso si immerge nelle inquietudini di un uomo maldestro nelle relazioni interpersonali che trova conforto nel sorriso e nella fantasia del nipote. Il secondo scivola, con una consapevolezza che lascia atterriti data la sua giovane età (appena 12 anni), nella logorrea travolgente di un bambino dalla curiosità incontenibile e dalla sensibilità spumeggiante. I loro dialoghi brillano di una tenerezza commovente; la danza inizialmente impacciata e poi sempre più naturale attraverso cui le personalità dei loro personaggi si sfiorano vibra della dolcezza di una carezza. Non c’è, però, nulla di stucchevole o melenso nella messa in scena della loro avventura. Una regia minimalista dal piglio quasi documentaristico e una fotografia avvolgente, che punta tutto su un elegante bianco e nero, ne fa i cuori pulsanti di una pellicola mai retorica. Il ritratto limpido, brulicante autenticità, di un confronto generazionale emozionante.