DIVANO DI FAMIGLIA
(U.S.A., Danimarca, Svezia / 2024 / Commedia / 96')
03, 04, 05, 06 febbraio
Miglior film Göteborg Film Festival
David, Gruffudd e Linda sono tre fratelli che si trovano riuniti dalla madre in un negozio di mobili per scegliere un divano. Il più nervoso di tutti è David, che conosce il proprietario del negozio e sua figlia, e deve star dietro all’indecisione della madre che ritarda i suoi mille impegni. Linda e Gruffudd sembrano invece presi da tutt’altro, o quanto meno da questioni irrilevanti. Mentre la tensione sale e David sente di perdere il controllo della situazione, sua madre si siede di getto su un divano verde. Da quel momento il suo comportamento diventa indecifrabile e si rifiuta di alzarsi da quel divano. Sta impazzendo o dietro al suo comportamento c’è dell’altro?
Recensione
La recensione migliore per il nuovo film di Niclas Larsson, Divano di famiglia, è una pagina bianca. Niente, nemmeno una parola. Come si può, infatti, dare un giudizio o un’interpretazione oggettiva ad un lungometraggio che si pone come opera aperta? Semplice, non si può, oppure si potrebbe aprire un forum in cui raccogliere le interpretazioni di ogni spettatore. Tuttavia, bisogna cercare d’imbrigliare questo cavallo selvaggio.
Il film che Larsson presenta alla diciottesima Festa del Cinema di Roma racconta di una famiglia raffazzonata. Tre fratellastri, Daniel, Gruffudd e Linda, si ritrovano un pomeriggio all’interno di un enorme ed isolato negozio di mobili. A condurli lì è la madre che, senza nessuna ragione apparente, decide di non alzarsi più da un bel divano color verde. Queste sono le due righe di trama su cui si reggono 96 minuti di film. In apparenza sembra un’eternità per un racconto così semplice, eppure, tutti quei minuti scorrono piuttosto velocemente, senza intoppi, tra dialoghi estranianti e avvenimenti sconcertanti. Larsson, infatti, decide di mirare verso la commedia dell’assurdo, lasciando al pubblico una scelta: ridere o rimanere in silenzio perplesso. Questo è Divano di famiglia, un insieme scomposto ed eterogeneo di scene, prive quasi di consecutività.
Ma qual è il messaggio che questo film vuole lanciare? Come detto in precedenza, la storia è un’opera aperta, che si vuole far masticare dagli spettatori per essere letta in molteplici chiavi. Una battuta, però, potrebbe essere la chiave che permette un’interpretazione più universale: “I mobili vecchi sono solo mobili vecchi, bisogna lasciarli per i nuovi.” A dirla è il proprietario del negozio, figura sfuggente e quasi eterea. Il protagonista David, però, la fa sua, paragonando la propria madre a un mobile vecchio e i fratelli a quelli nuovi.
Nel caos di azioni, scontri e dialoghi, il pubblico scopre un’amarissima storia: quella della madre che, per anni, ha tenuto separati i fratelli per puro egoismo, negando loro la possibilità di vivere quel rapporto ancestrale e di avere dei familiari su cui contare. Nonostante questo, però, David non ha mai smesso di aiutare la madre, di starle accanto, di sorreggerla, di tentare di piacerle. Divano di famiglia è un manifesto sul diritto di rifiutare i legami di sangue. Con un susseguirsi di scenari quasi fantastici, il film racconta agli spettatori che non è necessario mantenere i rapporti con i genitori solo perché, in apparenza, è la cosa giusta da fare. Qualche volta, proprio come fa David, bisogna lasciar naufragare queste figure, esseri umani incapaci di fare da guida ai propri figli, senza sentirsi addosso delle colpe, senza rimorsi.
Un’opera densa, ben girata, con momenti comici ben scritti: è come una fitta foresta, bellissima e piena di misteri che, però, per essere svelati, hanno bisogno della giusta attitudine e predisposizione dell’esploratoRe.
Gisella Grandis, www.dascinemag.com