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DOGMAN

un film di Luc Besson
(Drammatico / 2022 / Francia / 113')

Sabato 14 ottobre – ore 20.00
Domenica 15 ottobre – ore 16.00, 18.00 e 20.30*
*Spettacolo in Versione Originale Sottotitolata in italiano

Ovunque ci sia un infelice, Dio invia un cane.
– Alphonse de Lamartine.

Recensione

Tra alti e bassi, con una filmografia corposa da regista e sceneggiatore, imponente da produttore, Luc Besson si è sempre dimostrato un animale da cinema. Ecco, DogMan riflette perfettamente la poetica bessoniana, spesso in precario equilibrio tra grandeur, eccessi estetici e narrativi, genialità e scivoloni. Tanto accumulo, poca sottrazione. Presentato in concorso, DogMan è un frullato bizzarro ma indubbiamente riuscito che mescola le avventure canine disneyane con la sovrabbondanza queer, azione e violenza con slanci ipermelodrammatici, morti truculente ed Édith Piaf. Troppo? No. Sorprendentemente, no. A parte la scrittura e la messa in scena di Besson, a reggere l’impalcatura è il sempre ottimo Caleb Landry Jones, qui (finalmente) assoluto protagonista, volto sofferente di una favola intrisa di commovente realismo. 4 bassotti per 1 danese? Ci si pensa, ci si ride un po’ su, ma la pellicola messa in piedi da Besson non ha solo il merito di unire elementi a prima vista inconciliabili ma riesce a dialogare felicemente col presente, con temi caldi. Gli uomini del film, ad esempio: senza inutili ridondanze retoriche, senza fanfare programmatiche, DogMan demolisce i lati più oscuri e violenti dei padri\padroni, trovando nelle figure femminili gli unici appigli a due zampe. Donne anche imperfette, come la madre del protagonista, troppo debole per riuscire a salvare il figlio, ma amorevole, gentile, quasi un angelo dalle ali troppo esili per portare via Caleb dall’inferno. Oppure la psicologa Evelyn, capace di ascoltare e raccontarsi, un manifesto di empatia. Dall’altro lato, oltre al padre di Doug, oltre alla gag tagliata con l’accetta (ma sono puro contorno, utili solo come carne da macello), l’assicuratore Ackerman, a suo modo la figura maschile più emblematica, vero contraltare della trasparenza canina.Gli uomini di DogMan sono sostanzialmente un disastro: non a caso, uno dei pochi luoghi a misura di Caleb è il locale queer. È qui che muta definitivamente il protagonista, portando a compimento anche estetico la sua parabola da perfetto personaggio bessoniano, eroe romantico che vive inevitabilmente ai margini, in un mondo altro. Un mondo anche immaginario, debitore dell’insegnamento di Salma, dell’arte di Shakespeare, delle riviste materne – insomma, un mondo che ha attinto a piene mani dai libri, dalla lettura, dalla cultura. Non solo, quindi, la maschera come via di fuga da una realtà opprimente, ma la cultura come antidoto alle mille scorie di una società altrimenti violenta, corrotta, profondamente egoista. Echi di Joker, di una disperazione palpabile, eppure amalgamata a improbabilissime rapine canine, a quadrupedi dal notevole ingegno. Alla fine, tutto torna: la spensieratezza disneyana convive con la maschera tragica di una Marylin consapevole del proprio destino, la scrittura si innalza verso un finale cristologico, la comprensione si sazia nella vendetta. La scrittura di DogMan è un meccanismo solo apparentemente slabbrato. Qui, non sempre succede, la ricetta di Besson funziona. E, ancora una volta, il suo cinema arriverà un po’ ovunque, anche a Hollywood.
Enrico Azzano, www.quinlan.it