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DRIVE MY CAR

un film di Ryūsuke Hamaguchi
Sabato 22 gennaio - ore 20.00 Domenica 23 gennaio - ore 15.00 e 18.00

Vincitore del premio come miglior sceneggiatura al festival di Cannes 2021 e Golden Globe ome miglio film straniero 2022

Delicata e dedicata, così è la regia di Ryusuke Hamaguchi nel trasporre, riadattare e dilatare un racconto breve di Haruki Murakami, Drive My Car. Dopo l’Orso d’argento a Berlino (edizione digitale) per Il gioco del destino e della fantasia (2021), Hamaguchi presenta una prova di forza parlando di temi che solo i grandi riescono a trattare con semplicità e a farli aderire al quotidiano (perché è da lì che provengono): il senso di colpa, le piccole e grandi morti, l’incomunicabilità e l’incapacità di autoanalisi.

Recensione

Yusuke Kafuku, a distanza di due anni dalla morte improvvisa della moglie Oto, si ritrova a dirigere a Hiroshima, per il suo progetto di teatro sperimentale (dove si incontrano più lingue tra cui quella dei segni), Zio Vanja, una delle opere più grandi di Anton Čechov.
Per un problema all’occhio gli è stato affidato dal teatro una giovane autista, Misaki, per guidare la sua rossa e amata Saab 9000. Ed è proprio in quella Saab 9000, punto fisso e fonte di consigli non richiesti, che avvengono le epifanie emotive dei protagonisti: da una parte il regista e attore Kafuku affronta il suo contraltare sentimentale (uno dei tanti amanti della moglie) il giovane attore Takatsuki, forse nella scena più morbosa e affranta del film. Kusuke ha mai davvero conosciuto sua moglie? Le azioni delle persone hanno davvero bisogno di una spiegazione a monte? Dall’altra, ascoltiamo il passato della silenziosa autista Misaki, quasi un promemoria vivente per Kafuku, come a volergli ricordare che non è l’unico ad avere costruito una vita attorno a un vuoto. Se la confessione “è un privilegio dei colpevoli” per i due arriva il momento di fare ammenda, almeno verbalmente. Se non si conosce mai nessuno per davvero forse è lecito ritirarsi nelle proprie tenebre, tentare la strada suicida dell’introspezione e, parafrasando Fellini, accettare gli altri così come sono, perché è l’unico modo di trovarsi. Drive My Car è la storia di vite perdute – almeno in parte – ma non quelle dei morti che Hafuku e Misaki rimpiangono, bensì le loro, vuoi per scelta o per uno sfortunato caso. Nell’epilogo dell’ultimo lavoro di Hamaguchi, vincitore a Cannes per la miglior sceneggiatura, permane la sensazione che, al di là del nostro dibatterci in cerca di una spiegazione a fatti, persone e azioni, ciò che ci contraddistingue come artisti della nostra vita è unicamente la perseveranza, la stessa di Zio Vanja e Sonja, stanchi di dare un senso a ogni tragedia per affidarsi alla vita, qualunque cosa riservi il futuro, perché un futuro esiste ed è nostro dovere provare a costruirlo.

Maria Eleoniora Mollard www.mediacritica.it