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ERNEST E CELESTINE. L’AVVENTURA DELLE SETTE NOTE

un film di Jean-Christophe Roger (II), Julien Cheng

Domenica 2 luglio, ore 21.30

Anfiteatro di Palazzo Toaldi Capra
via Pasubio, 52 – Schio (VI)

In caso di maltempo gli spettacoli saranno annullati.

Recensione

Dopo il lungo letargo, l’orso Ernest si risveglia più affamato che mai. In cerca di soldi per comprare da mangiare, la topina Célestine invita l’amico a riprendere a suonare il violino per strada, ma inavvertitamente rompe lo strumento. Il solo modo per ripararlo è allora recarsi nella terra natia di Ernest, la Charabie, dove ancora vive il liutaio che l’ha fabbricato. Ernest e Célestine arrivano così in Charabie, dove però scoprono che una legge proibisce la musica e qualsiasi forma di svago. A far rispettare le regole ci pensa soprattutto il rigidissimo giudice, papà dello stesso Ernest, il quale cerca in tutti i modi di portare il figlio della sua parte. Ma chi è, invece, il misterioso eroe mascherano che sfida l’editto e spinge la popolazione a liberarsi dal gioco del potere? La storia dell’incontro e dell’amicizia fra la topina e l’orso, lei orfana con il sogno di fare la pittrice, lui artista e musicista di strada, ha da sempre un chiaro sottotesto politico.
Nell’opera di Gabrielle Vincent (ai tempi del primo Ernest e Celestine adattata da Daniel Pennac), l’animazione è il regno dell’ideale, del sogno di un mondo solidale capace di opporsi alla ferocia del potere. Il tratto acquerellato e aperto dell’autrice – la cui resa sullo schermo è perfetta, sognante e lieve come quella su carta – rende le vicende infantili ma non per questo meno forti e chiare. L’atmosfera da film per bambini è semplicemente un modo per introdurre passaggi forti e amari, che in questo secondo capitolo acquisiscono un ruolo ancora più centrale. Il contrasto più evidente di questa Avventura delle 7 note è fra l’idillio paesaggistico della Charabie e lo stato di polizia che i due protagonisti incontrano. Tra montagne, funivie, paesi arroccati (elementi che avvicinano il mondo della Vincent a quello di Miyazaki) emerge come una violenza scioccante il grigiore di una città senza musica, rigidamente controllata da un potere dittatoriale. La musica è colore, vita, movimento – animazione, dunque – e la sua negazione porta a una società ottusa, inerme. Il ritorno alle radici di Ernest e l’irruzione a Charabie della straniera Celestine diventano così eventi rivoluzionari, rotture che ribadiscono l’importanza dei diritti degli individui (siano essi persone o animali…): la libertà d’espressione, la libertà creativa, il diritto alla felicità e al piacere. Che poi in Ernest e Celestine – L’avventura delle 7 note il conflitto si risolva con un classico dramma familiare è semplicemente un modo per ricondurre il racconto a convenzioni narrative note. Dove i registi Julien Chheng e Jean-Christophe Roger danno il meglio è nella cura dei dettagli, ad esempio nei tanti momenti giocati sui temi della machera e del travestimento. Avviene così durante il concerto clandestino nel night club, che fa pensare al cinema sul proibizionismo, o nella scena più bella del film, quando nel carcere Ernest si traveste dal padre giudice, ma si ritrova faccia a faccia col genitore dando così vita a un simpatico gag sul rispecchiamento tra padre e figlio poi ribaltato da un nuovo svelamento che allarga l’intreccio familiare.Nel suo modo fanciullesco e diretto, Ernest e Celestine – L’avventura delle 7 note procede per continui svelamenti e un po’ alla volta, attraverso lo scompiglio portato nella Charabie dall’orso e dalla topina, racconta come un nuovo ordine ottuso possa essere ribaltato da un vecchio ordine più sensato, fondato sulla libertà, la democrazia e la bellezza. Qua e là, siccome la Charabie ricorda i paesaggi della Georgia, sembra addirittura di respirare l’aria del cinema di Ioselliani, con il suo tono svagato e po’ folle. È del resto il tono perfetto per una favola morale senza tentennamenti, così elementare e dolce da essere semplicemente bella.
Roberto Manassero mymovies.it