EVIL DOES NOT EXIST
(Giappone / 2023 / Drammatico / 106’)
25, 26, 27, 28 marzo 2024
Il film segue Takumi e sua figlia Hana, che abitano nel villaggio di Mizubiki, vicino a Tokyo. Come generazioni prima di loro, vivono una vita modesta secondo i cicli e l’ordine della natura. Un giorno, gli abitanti del villaggio vengono a conoscenza di un piano per costruire un glamping vicino alla casa di Takumi, offrendo ai residenti della città una comoda fuga nella natura. Quando due rappresentanti dell’azienda di glamping arrivano nel villaggio per tenere un incontro, diventa chiaro che il progetto avrà un impatto negativo sull’approvvigionamento idrico locale, provocando disordini. I piani dell’azienda mettono in pericolo sia l’equilibrio ecologico dell’area, sia lo stile di vita della popolazione locale, e le sue conseguenze incidono profondamente sulla vita di Takumi.
Recensione
In attesa di vedere il suo nuovo film, ripercorriamo la carriera del regista giapponese. Il debutto di Ryusuke Hamaguchi avviene nel 2003, quando gira Like Nothing Happened. Nel 2007 realizza un remake di Solaris di Tarkovskij. Passion (2008) è il saggio di laurea, intensa e articolata trama di relazioni “pericolose” che ruota attorno ad alcune giovani coppie. Il film mette in luce alcune caratteristiche del suo cinema. Un cinema di parola, ma anche di silenzi, di gesti e di sguardi che vanno delineandosi in un linguaggio estremamente composito, improntato a un rigore formale che tiene a bada la materia drammaturgica a volte sfuggente e debordante, sia per durata sia per slancio empatico. Nel 2010 è la volta di The Depths che è uno degli unici film in cui Hamaguchi imbastisce una storia, seppur sottotraccia, di detection che fa da base a una pulsione desiderante più esplicita e marcata rispetto agli altri film, come se un côté melodrammatico, provasse a insinuarsi tra le pieghe del racconto. Dopo il terremoto e maremoto del Tōhoku, con il successivo tsunami e i danni causati alle centrali di Fukushima, nel 2011, Hamaguchi, con il regista Sakai Kō, lavora a quattro documentari che hanno come protagonisti i sopravvissuti. Intimacies (2012) ripercorre la gestazione di una pièce teatrale ed è un film-laboratorio privo di filtri e di quarte pareti, un lavoro sulle emozioni e sulla scrittura che sembra guardare a Cassavates. La danza è la protagonista del successivo Touching The Skin of Eeriness (2013), thriller in cui i margini tra realtà e fantasia si fanno più flebili. In Happy Hour (Happīawā) il regista mette in scena la vita quotidiana di un quartetto di donne partendo da un precedente lavoro off di interviste, tratte da un laboratorio di recitazione con attori non professionisti. Vediamo qui un regista diverso, ormai consapevole, anche grazie al lavoro documentaristico, dell’importanza dell’ascolto per ottenere una recitazione così aderente al personaggio/non personaggio. Dopo il mediometraggio Heaven is still far away (2106), una piacevole e delicata ghost story, il cinema di Hamaguchi si affaccia sui più importanti festival internazionali: Asako I & II del 2018 è in concorso a Cannes. Hamaguchi si spinge sul versante della fantasia e del gioco, due parole chiave del suo cinema. Gioca con il doppelgänger ma anche con i sentimenti come in un racconto morale di Rohmer, altro nume tutelare del regista. Il riferimento a Rohmer è ancora più evidente in Il gioco del destino e della fantasia (2021), nella sua struttura episodica di contes moraux. Il film si aggiudica l’Orso d’Argento alla Berlinale ed è in concorso al Far East Film Festival. Intanto collabora con il maestro Kurosawa firmando la sceneggiatura di Wife of a Spy che si aggiudica il Leone d’argento per la migliore regia a Venezia nel 2020. Il 2021 è un anno d’oro per Hamaguchi, poiché esce anche Drive My Car. Ancora il teatro, in particolare Zio Vanja di Čechov. Il film conquista la giuria di Cannes, che gli assegna il premio per la miglior sceneggiatura.
Valerio Costanzia, www.sonatine.it