IBI
venerdì 02/02 - ore 21
Prezzi
Intero: 7 euro / Soci: 6 euro
In collaborazione con
coop.Samarcanda, coop. Entropia, coop. Nova, coop. Comunità servizi, ass. Il mondo nella città
Recensione
IIbitocho Sehounbiatou è nata in Benin nel 1960. Madre di tre figli, per provvedere al loro sostentamento nel 2000 accetta di fare il corriere per dei trafficanti di droga. Scoperta e arrestata, finisce in carcere: dopo tre anni esce ma non può tornare dai suoi cari né ottenere un permesso di soggiorno in Italia. Si ferma in Campania, a Castel Volturno, in un purgatorio che sembra non avere mai fine. Da sempre vicino alle tematiche dei migranti e di chi vive lontano dalla propria patria, Andrea Segre realizza un documentario che parte da una vita, quella di Ibi, per tracciare un percorso esemplare del calvario vissuto da ogni povero costretto a girare il mondo per sopravvivere.
Ibi ha commesso un errore che non smetterà mai di pagare, ma non abbandona la sua straordinaria compostezza per cedere alla disperazione. Bloccata in una nazione che non è la sua e che si rifiuta di accoglierla in pianta stabile, Ibi si occupa delle proprie piante, conduce un’esistenza semplice con un nuovo compagno e si mantiene grazie a foto di matrimoni e celebrazioni.
La macchina da presa di Segre si concentra sul quotidiano della donna, alternando l’alta definizione digitale a ciò che la stessa Ibi riprende, in bassissima fedeltà. Ogni frammento aiuta a comprendere una nuova sfaccettatura del dramma di Ibi e, con lei, di una generazione di migranti dell’Africa Nera che, a Castel Volturno, costituiscono la comunità più popolosa d’europa. Ibi non è mai tornata a casa né è diventata cittadina italiana. Quei solchi sulle gote, che paiono lacrime perenni, quasi evidenziano la tragicità di un personaggio su cui Segre concentra l’intera opera, al punto di intitolarla a lei.
L’empatia per la vicenda di Ibi è inevitabile, mentre la regia lavora di sottrazione, accostandosi con discrezione alla vita della donna. A parlare è soprattutto Salami, il suo nuovo compagno, che si racconta, in quella che sembra un’ideale risposta all’invito ricorrente ad “aiutarli a casa loro”: spesso quella di non tornare in Africa non rappresenta una scelta. Segre si consegna in toto all’affermazione politica di un assunto, mettendo da parte una possibile rielaborazione dei canoni del cinema documentario per privilegiare il messaggio.