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IL GRANDE PASSO

di Antonio Padovan (Italia / 2019 / Commedia / 96')

16, 17, 18, 19 novembre

Mario vive a Roma, Dario nel Polesine. Mario ha una ferramenta, Dario un casolare. Mario segue le regole, Dario le disprezza. Figli dello stesso padre e di madre diversa, Mario e Dario sono fratelli ma non hanno niente in comune. Lontani e spaiati, condividono soltanto il dolore dell’abbandono paterno. La follia di Dario, genio incompreso dell’ingegneria aerospaziale, provoca suo malgrado la loro riunione. Dopo un tentativo di lanciarsi sulla Luna finito con un campo incendiato e la denuncia del vicino, Dario viene condannato al ricovero coatto ma l’intervento provvidenziale di Mario cambia il corso degli eventi e punta la Luna.

Scheda tecnica

  • Titolo Originale

    Il Grande Passo

  • Regia

    Antonio Padovan

  • Paese, anno

    Italia,2019

  • Genere

    Commedia

  • Durata

    96'

  • Sceneggiatura

    Antonio Padovan, Marco Pettenello

  • Fotografia

    Duccio Cimatti

  • Colonna sonora

    Pino Donaggio

  • Montaggio

    Paolo Cottignola

  • Interpreti

    Giuseppe Battiston, Stefano Fresi, Flavio Bucci, Roberto Citran, Camilla Filippi

Recensione

Quanto costa sognare? Poco? Molto? Niente? O forse tutto. Il grande passo di Antonio Padovan è un film piccolino, che vuole dire forse una cosa sola; ecco, a differenza di tanti altri, ci riesce. Non solo. Vuole parlare a tutti, ché forse è proprio ciò di cui in questo momento c’è bisogno, ed allora il suo non è film che vuol farsi bello, pur sapendo che, in mancanza di certe sfumature, la complessità di qualunque fenomeno viene meno. Nel film Dario (Stefano Fresi) possiede una ferramenta a Roma, mentre Mario (Giuseppe Battiston) vive in campagna, vicino Rovigo, dove l’ha combinata grossa. Per riuscire in un’impresa come minimo insolita, ha abbrustolito parte del terreno di un vicino, cosa di cui, insieme ad altre, deve ora rispondere davanti alla Legge. Mario non ha nessuno, perciò all’avvocato della zona non resta che contattare Dario, fratellastro da parte di padre, il quale, seppur riluttante, alla fine decide di prendere un treno per il Polesine. L’impresa in questione, circa alla quale per un bel po’ Dario resta all’oscuro, è semplice ancorché assurda: Mario sta costruendo una nave spaziale con la quale intende arrivare sulla Luna. Uno immagina a questo punto una storia intrisa d’ingenuità, forzata, se non addirittura stupida, col risultato, come spesso accade, di sconfinare nella trivialità più becera. Padovan, invece, riesce a contemperare quella che in fondo pare proprio una necessità, ossia girare una commedia alla portata, innestando una traccia che, per quanto non possa a tali condizioni essere esplorata più di tanto, emerge bene e si percepisce tanto quanto. Infatti il merito più significativo de Il grande passo mi pare stia proprio nel riuscire a divincolarsi da una certa, congenita mediocrità sotto il cui manto vengono concepiti e sviluppati una mole consistente di commedie nostrane. Ed è un lavoro i cui ingranaggi, giustamente, non si vedono, per cui certa semplicità rischia di passare inosservata, oppure peggio, di venire fraintesa. Il rapporto tra i personaggi di Fresi e Battiston, che insieme sono una coppia notevole; la testardaggine di Mario anche a fronte della follia che porta avanti; l’affabilità di Dario, il suo senso di responsabilità. Insomma, tutti elementi che fanno leva una volta tanto su temi universali, verrebbe persino da dire “belli”, bilanciando la riflessione con un approccio che renda il tutto accessibile. Convince insomma come Padovan riesca a far dire e fare ai personaggi verità oramai talmente imbevute di retorica (anche se qui non sempre del tutto dribblata, va detto) ché non le reputiamo più tali. Colpisce questo seppur vagamente dimesso tentativo di opporre resistenza alla disillusione imperante, per quanto attraverso i modi di una commedia regionale persino, calata cioè in un ambiente preciso, facile da individuare per chi conosce almeno un po’ il nostro Paese. Non un antidoto, né un rimedio, ma che si (ri)cominci a scrivere storie che invoglino a credere, a sperare, ricordando al contempo, anche in maniera buffa, che sognare ha un costo, spesso molto alto, rappresenta un tentativo di per sé encomiabile. Ancor di più quando, rifuggendo tanto certa rarefazione, quanto il suo esatto contrario, ossia l’idiota banalizzazione, si riesce a tirare fuori una parabola di cui e con cui si riesce a sorridere.

Antonio M. Abate, www.cineblog.it