IL PIACERE È TUTTO MIO
Nancy Stokes è in piedi davanti allo specchio. Osserva il suo corpo e i segni degli anni trascorsi con sguardo curioso, quasi adolescente. Il piacere è tutto mio di Sophie Hyde si racchiude in questa scena che è un livello profondo di analisi psicologica e accettazione attorno ai temi di identità e sex positivity. La giovane regista australiana cambia look rispetto al più inquieto e turbolento Animals del 2015, e trova terreno fertile in una commedia dai ritmi cedevoli e incalzanti. n film a due voci scandito da una serie capitolata di incontri in una stanza d’albergo tra Nancy, una donna rigida, da poco vedova, e Leo, un giovane e affascinante gigolò. “Non mi piace che qualcosa entri in posti dove le cose dovrebbero uscire” dice Nancy, un’insegnante di religione in pensione che non ha mai avuto un orgasmo e che ora ha una lista di ‘obiettivi raggiungibili’ che vorrebbe superare per capire l’entità di ciò che è andato perduto in tanti anni.
Recensione
Sophie Hyde consegna con fiducia le chiavi del suo film ad una brillante Emma Thompson, perfetta nel suo ruolo tragicomico e capace di raccontare con delicati toni minimalisti il rapporto di due anime solitarie unite nella loro diversità radicale. La perfetta messa a fuoco dei singoli personaggi in un contesto recitativo esemplare sembra il frutto di una pratica teatrale. Nancy e Leo danzano agili sulle note di Always Right degli Alabama Shakes, osservano da dietro ai finestroni del Duffing Hotel, la città che si riflette su di loro, vivono gli incontri in una stanza asettica fotografata con stile e rigore ideali alla narrazione. Sono chiusi nella loro solitudine, ben protetti e sicuri, si disturbano e infine s’impongono di uscire da sé stessi in un rapporto oggettivamente squilibrato e necessario. L’infatuazione di Nancy per la giovinezza è un richiamo al dolore che prova per il tempo sprecato e alla scintilla erotica del tempo che le resta. “Voglio giocare a essere di nuovo giovane”, dice al suo amante a pagamento, dichiarando esplicitamente l’intreccio sottinteso e nascosto del film tra la ‘petit mort‘ e la consapevolezza dell’imminente mortalità.
Il piacere è tutto mio volta le spalle al cinema hollywoodiano e sembra ispirarsi a quello europeo. Nello spunto si riconosce un rimando a The Mother (2013) del regista britannico Roger Michell, dove una donna di mezza età, rimasta vedova, si faceva ospitare dai figli ormai adulti e, inaspettatamente, s’innamorava del compagno di sua figlia. Michell ha ridotto l’interessante punto di partenza in un diario di desiderio e pulsioni erotiche, mentre Sophie Hyde ha il pregio di andare più a fondo e disegnare un vero e proprio intimo spaccato sulla solitudine di un’anziana donna rimasta vedova.
Matteo Di Maria, www.sentieriselvaggi.it