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IL RITORNO DI CASANOVA

un film di Gabriele Salvatores
(Drammatico / 2023 / Italia / 95')
Sabato 08 aprile - ore 20.00
Domenica 09 aprile - ore 16.00, 18.00 e 20.30

Leo Bernardi è un regista che non riesce a completare il suo ultimo film su Giacomo Casanova, in procinto di partecipare in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia. Il suo montatore Gianni cerca di farlo uscire dall’impasse e da una depressione incipiente, mentre Leo si consuma fra due sentimenti che gli paiono inadatti ai sui 63 anni: la competitività con un giovane regista, Lorenzo Marino, osannato dalla critica e anche lui in predicato per il concorso veneziano, e l’amore per Silvia, un contadina volitiva e indipendente, molto più giovane di lui. Dunque Leo temporeggia, procrastina, è nervoso e distratto, agitato da sogni e visioni, impolverato come il Casanova che racconta, cui tutto appare “insensato e ripugnante” – a cominciare dal passaggio inesorabile del suo tempo di vita. Ma anche lo spirito di Jacques Tati aleggia sulla trama, attraverso la casa automatizzata che si inceppa e si ribella, o l’intrappolamento di Bernardi dietro il vetro di uno sportello bancomat: lì a ricordarci l’aspetto comicamente surreale dell’esistenza, così come la presenza di alcuni attori – Marco Bonadei, Natalino Balasso e il duo Ale e Franz, questa volta in due vicende separate – che provengono dal precedente film sperimentale di Salvatores, Comedians, a riprova di quanto il regista si avventuri sempre su strade nuove (ricordate Nirvana?) senza mai riposare sugli allori.

Recensione

“Ora i miei incantesimi si sono tutti spenti, la forza che possiedo è solamente mia, ed è poca”, cita Salvatores da “La tempesta” di Shakespeare prima di un prologo che dura quasi 12 minuti, ed è già un’esitazione tangibile che riassume il senso della storia. Anche le scelte estetiche, a cominciare da un bianco e nero che alterna spietata nitidezza con spiazzanti fuori fuoco (la bella fotografia è di Italo Petriccione), puntano ad uno smarrimento esistenziale. È questa atmosfera sospesa, da quadro di Magritte, la forza di Il ritorno di Casanova, insieme all’interpretazione intensa e nuda di Toni Servillo, fragilissimo dietro la maschera del grande autore e dell’uomo di mondo, sfuggente e inadeguato davanti alla violenza dell’attrazione che prova verso Silvia, altro fantasma, questa volta di giovinezza leopardiana: peccato che il copione la voglia contadina, poiché l’aspetto di Sara Serraiocco e il suo linguaggio forbito – per non parlare dell’abito da sera di un famoso stilista – rendono poco credibile il suo mestiere. Fabrizio Bentivoglio, soprattutto nel contesto della filmografia di Salvatores, è un casting ispirato: un ex bellissimo che il tempo ha sfiorito, ma la cui passata irresistibilità è ben impressa nel nostro immaginario collettivo.
Se Casanova si aggira intorno alle lagune veneziane che hanno testimoniato la sua gloria, Leo Berardi si muove in una Milano irriconoscibile, popolata da grattacieli e blogger ambiziosi, combattuto fra l’esigenza professionale di decidere e quella personale di desiderare. Salvatores lo racconta in modo cerebrale ma mai algido, come un uomo il cui “sistema centrale” sta andando quietamente in tilt: uno che, come dice la prosa di Schnitzler, “si cerca e non si trova”, perde pezzi (e denti) e si specchia nella propria solitudine, senza confidarsi con nessuno e senza dire a Silvia ciò che prova davvero, con la paura che lei veda in lui solo “un vecchio: poiché lei ha “tanta vita davanti e tutto il tempo per innamorarsi di nuovo”, mentre lui nelle mani non ha (più) niente. Ma Il ritorno di Casanova è anche una riflessione sul cinema e la sua impermanenza “se non c’è un pubblico che vuole vederlo”, nonché sui registi che non sanno vivere al di fuori del set, sui giornalisti gossippari, sui montatori mai celebrati e invece coautori dei film dei loro registi (il montaggio di Il ritorno di Casanova è di Julien Panzarasa). Un film pieno di una grazia dolorosa cui Servillo si abbandona senza opporre resistenza, con un “que sera sera” che appartiene ad Alfred Hitchcock più che a Livingston & Evans, o a Doris Day.

Paola Casella www.mymovies.it