IL TRADITORE
24, 25, 26 settembre
Sicilia, anni Ottanta. È guerra aperta fra le cosche mafiose: i Corleonesi, capitanati da Totò Riina, sono intenti a far fuori le vecchie famiglie. Mentre il numero dei morti ammazzati sale come un contatore impazzito, Tommaso Buscetta, capo della Cosa Nostra vecchio stile, è rifugiato in Brasile, dove la polizia federale lo stana e lo riconsegna allo Stato italiano. Ad aspettarlo c’è il giudice Giovanni Falcone che vuole da lui una testimonianza indispensabile per smontare l’apparato criminale mafioso. E Buscetta decide di diventare “la prima gola profonda della mafia”. Il suo diretto avversario (almeno fino alla strage di Capaci) non è però Riina ma Pippo Calò, che è “passato al nemico” e non ha protetto i figli di Don Masino durante la sua assenza: è lui, secondo Buscetta, il vero traditore di questa storia di crimine e coscienza che ha segnato la Storia d’Italia e resta un dilemma etico senza univoca soluzione.
Scheda tecnica
Titolo Originale
Il Traditore
Regia
Marco Bellocchio
Paese, anno
Italia,2019
Genere
Drammatico
Durata
135'
Sceneggiatura
Marco Bellocchio, Valia Santella, Ludovica Rampoldi, Francesco Piccolo
Fotografia
Vladan Radovic
Colonna sonora
Nicola Piovani
Montaggio
Francesca Calvelli
Interpreti
Pierfrancesco Favino, Maria Fernanda Cândido, Luigi Lo Cascio, Fabrizio Ferracane, Fausto Russo Alesi
Recensione
Presentato in concorso al 72° Festival di Cannes, Il traditore è un film almeno in parte meno attinente alla poetica del suo regista Marco Bellocchio e più vicino alla tradizione del cinema civile italiano dei Francesco Rosi e dei Gillo Pontecorvo.
Ciò a cominciare dalla narrazione, che ripercorre in modo ordinato e quasi cronachistico la storia del pentito di Cosa Nostra Tommaso Buscetta dal 1980 al 2000: dal suo rifugio in Brasile alla sua “collaborazione” con Giovanni Falcone, dall’accusa di associazione mafiosa a Giulio Andreotti fino al suo trasferimento definitivo negli Stati Uniti.
Una vicenda, quella di Buscetta, molto importante per la Storia criminale e politica del nostro Paese, ma piuttosto lontana dai temi e dalle ossessioni del regista di Bobbio, il quale ha comunque messo al servizio del progetto tutta la sua capacità di fare cinema. E, infatti, la messa in scena è davvero eccellente nella sua energia e nel suo vigore: le musiche caricano di giusta enfasi i momenti più rilevanti, il montaggio ha funzioni tanto ritmiche quanto semantiche (con dei momenti che ricordano le analogie ejzenštejniane degli anni Venti) e la fotografia ricrea in modo suggestivo i colori e i cromatismi dell’epoca. Tutte opzioni linguistiche che servono soprattutto a rendere “spettacolare” un’opera dal taglio sostanzialmente realista, nella quale però non mancano degli occasionali momenti onirici (gli incubi di Buscetta) e immaginifici (il finale), funzionali a far emergere gli aspetti più intimi e psicologici del protagonista, del quale vengono sottolineati anche i lati più deboli e nascosti, come i timori, i rimorsi e le frustrazioni. Una fragilità che riesce a emergere anche grazie all’ottima interpretazione di Pierfrancesco Favino, capace di restituire le diverse sfaccettature psicologiche del personaggio.
Ed è proprio tramite l’alternanza tra cronaca e sogno, racconto pubblico e storia privata, che l’autore riesce ad affrontare – anche se in modo marginale e secondario – alcune delle sue tematiche più care, a cominciare dalla questione della famiglia e della sua esautorazione. Questo perché, in fondo, la vicenda di Buscetta è anche quella di una famiglia disgregata e distrutta, nella quale due figli vengono uccisi in nome delle “colpe” del padre. E se in alcuni lavori del cineasta italiano si commettono dei parricidi, qui avviene invece un indiretto e non voluto figlicidio, come ammette piangendo lo stesso protagonista in una delle sequenze emotivamente più intense del film.
Elementi che fanno de Il traditore un lavoro nel quale Bellocchio riesce a far emergere alcune tracce tematiche ed estetiche del suo cinema pur all’interno di un’opera meno personale e parzialmente più lontana dalla sua poetica.
Juri Saitta, mediacritica.it