IN THE MOOD FOR LOVE
Giovedì 13 Maggio - ore 16.00
Sabato 15 Maggio - ore 19.30
Domenica 16 Maggio - ore 15.00
Edizione restaruata da L’IMMAGINE RITROVATA DI Bologna e dalla Criterion di New York, partendo dal negativo originale e con la supervisione totale del regista.
Hong Kong, 1962. Chow, redattore di un quotidiano, si trasferisce con sua moglie in un nuovo appartamento. Nello stesso palazzo abita con suo marito Li-chun, segretaria in una società di import-export. Dal momento che i rispettivi coniugi sono spesso fuori di casa, il giornalista e la segretaria trascorrono molto tempo insieme. Ma anche i loro partner…
Recensione
In the mood for love’è un film di silenzi e atmosfere raffinatissime che ha colpito il pubblico di tutto il mondo, un grande melodramma dalla narrazione frammentata che insieme alla regia delicatissima riesce a rendere l’ansia, la il trepidazione e il turbamento che il sentimento amoroso
provoca in tutti noi. Una storia d’amore che da essere materia dei soli protagonisti si espande oltre la semplice dimensione di coppia, ripercorrendo i passi di un innamoramento che porta i due a diventare i fantasmi da cui sono stati traditi, ma con i quali condividono il medesimo sentimento.
Negli spazi geometrici di In the Mood for love si vive e si rivive una relazione che sfuma fantasia e realtà, immedesimazione ed appropriazione, e che rischia di diventare reale solo fuori dal tempo: nei silenzi immobili, nei gesti rubati e negli sguardi celati. I due innamorati diventano essi stessi sublimazione del sentimento e dello spazio in cui prende corpo, fondendosi con esso proprio attraverso i motivi visivi che indossano (che siano vestiti o cravatte) e diventando così definitivamente parte di un processo che si forma intorno e a causa loro. In un film che vive principalmente di interni e di cornici Wong Kar-Wai disegna una dimensione su misura dei suoi due tenori, Tony Leung e Maggie Cheung, interpreti straordinari di due prove irraggiungibili, al gusto di una contaminazione cinefila che tocca lidi della Nuovelle Vague, del cinema di Antonioni e dell’erotismo che ritroviamo in Bertolucci, dal quale si differisce per grado di pudore, ma non per eleganza. Una dimensione ossimorica, giocata sulla chiusura degli spazi e l’apertura della composizione, impreziosita da una colonna sonora che mischia ancora occidente ed oriente (guidata dalle esecuzioni di Nat King Cole e dalle note senza tempo del tema di Shigeru Umebayashi) e dall’avvicendamento di due direttori della fotografia dalla poetica differente, ma sensazionalmente integrata.
Lo spettatore è osservatore di un racconto lavorato per sottrazione, in cui l’inquadratura diventa luogo vitale essenziale, come lo sguardo di chi osserva, a cui è riservata la scelta anche di non guardare, di ascoltare e di immaginare. L’importanza del fuori campo, dell’inquadratura fissa, dell’azione celata e dei dettagli nascosti si rivela in un mosaico cromatico in cui i corpi, le azioni e i mondi emozionali dei due protagonisti acquisiscono una forma potente, pur vivendo nel minimo e nell’uguale, sempre e costantemente.