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LA CHIMERA

un film di Alice Rohrwacher
(Italia / 2023 / Drammatico / 130’)

19, 20, 21, 22 febbraio 2024

Italia, anni Ottanta. Arthur, giovane archeologo inglese, ha il raro talento di percepire, come un rabdomante, la presenza di tombe etrusche che costellano il litorale tirrenico. Si ritrova così coinvolto nel mondo clandestino dei tombaroli e nel loro traffico illegale di reperti antichi. Mentre loro inseguono un profitto, “l’inglese” è alla disperata ricerca di un passaggio verso l’aldilà che potrebbe ricongiungerlo a Beniamina, la ragazza che ha amato e perduto. Italia, a dispetto del nome, è straniera come Arthur, ed è l’unica in grado di accendere in lui un nuovo interesse per la vita. Va a stanarlo sulle pendici della città e solleva il suo sguardo da quella terra che lo attira come un magnete.

Recensione

La chimera racconta una ricerca ostinata – di morte, di vita, di riscatto dalla povertà e di accumulo materiale – con il passo folk del cantastorie, evidenziandone il lato picaresco e quello simbolico. È una battaglia tra vettori contrapposti – fedeltà e desiderio, bene comune e possesso, predestinazione e libero arbitrio – che strattonano qua e là gli esseri umani, incapaci di seguire semplicemente le traiettorie del volo degli uccelli secondo “le regole assegnate a questa parte di universo.” Ed è un film completamente libero come sa esserlo il cinema di Alice Rohrwacher, che sceglie il tempo del racconto cominciando lentamente, per dare al suo protagonista lo spazio di una rincorsa fatale, e accelerando in “ascese velocissime” che rivelano una comicità da film muto. Anche il formato diviso in tre – 16mm, super 16 mm e 35mm – testimonia la libertà espressiva dell’autrice di scegliere ciò che le è utile a narrare, ponendosi come unico imperativo l’aderenza totale alla storia e ai personaggi. Nel suo immaginario si rintracciano Pasolini, il Fellini di La dolce vita e la visionarietà “femminile” di Lucrecia Martel, ma non c’è nulla di rielaborato e tutto di restituito a quel territorio, e quel cinema, saccheggiato dai suoi stessi abitanti, più che dagli “stranieri.” Fra gli interpreti spiccano Isabella Rossellini nei panni di Flora, l’anziana insegnante di canto, accompagnata da uno straordinario coro muliebre, che non si arrende alla perdita della figlia Beniamina, e Vincenzo Nemolato nel ruolo di un tombarolo guascone. Soprattutto si libra come un uccello Carol Duarte, che interpreta Italia, cantante “stonata” solo perché segue un suo spartito interiore. Questa compagnia di giro attraversa una storia picaresca e celestiale dove il celeste è il colore dominante ed è fatto di un cielo attraversato da quegli uccelli che trasformano noi spettatori in àuguri intenti a interpretare il loro volo. La chimera ha i colori delle fiabe e l’apparente scanzonatura degli stornelli, racconta la campagna senza accenno bucolico o velleità bohemienne, ipotizza un mondo gestito dalle donne senza farne una bandiera ideologica, scava nella terra e nell’inconscio, cerca di salvare l’anima dei suoi personaggi anche quando non è più possibile e fornisce loro prese d’aria anche quando non possono più esserci, alludendo a ciò che “non è fatto per gli occhi degli uomini” con il potere evocativo della poesia. Il film di Rohrwacher attraversa un’Italia nel processo di essere svenduta agli stranieri ma in cui due stranieri sembrano gli unici a volerne conservare il mistero, ci aiuta a “stimare l’inestimabile” e a rivendicare la tutela delle “cose che appartengono a tutti” perché la proprietà non deve essere necessariamente possesso. E il suo cinema si conferma contemporaneamente arcaico e postmoderno, nonché capace di inventare parabole agresti che presagiscono, come il migrare degli uccelli, la transizione verso il degrado a seguire.
Paola Casella, www.mymovies.it