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LA DONNA DEL MISTERO

un film di Park Chan-wook
17 - 18 - 19 - 20 Aprile

Hae-joon è un detective infallibile e un marito insoddisfatto: quando si trova alle prese con un caso di suicidio, ritiene che si tratti in realtà di omicidio. Per questo indaga sulla moglie cinese della vittima, Seo-rae, ma se ne innamora all’istante. Attraverso una sottile rete di seduzione, Seo-rae sembra soggiogare Hae-joon, che però ha un’intuizione che potrebbe ribaltare il corso dell’indagine.

Recensione

Il cinema di Park, che ha sempre trasudato virtuosismi, torna a dialogare con la vita palpitante, con lo stupore delle emozioni, con la tragicità degli eventi. Al di là delle soluzioni tecnico-artistiche, Decision to Leave gronda umanità. Non accadeva da tempo.

Il film mette a frutto e rielabora alcune suggestioni visive di Alfred Hitchcock e Satoshi Kon, congeniali alla messa in scena di una e più ossessioni, nonché dualismi: la doppia natura cinese/coreana della protagonista, anche moglie/assassina/innocente; la doppia natura del detective, coinvolto sentimentalmente, nonché marito/amante; la detection contrapposta alla passione, ovvero la logica contro il sentimento, ovvero lo sguardo che si scinde, si intreccia, ci ipnotizza. Lo sguardo diventa passione, ritorna logica, è invasivo e potenziato dalla tecnologia: nella messa in scena, al pari dello sviluppo narrativo, lo sguardo diventa veicolo, supera pareti, trasporta i personaggi in luoghi impossibili – ma non impossibili per il cinema, per il montaggio. Ed è proprio nei giochi di prestigio del montaggio, nella compresenza di personaggi altrimenti distanti nel tempo e nello spazio, che emerge con forza in Decision to Leave l’impronta koniana. Park riesce dove Nolan e Aronofsky avevano fallito.

Degli echi hitchcockiani di Decision to Leave, probabilmente più evidenti rispetto ai debiti koniani, stupisce la declinazione non depalmiana, la capacità di Park di declinare la vertigine in nuove e personali forme. Se uno dei luoghi simbolici è la montagna del primo omicidio, piace constatare la compresenza di soluzioni che rimandano sia a Hitchcock sia a Kon, in un susseguirsi mai gratuito di trompe-l’œil visivi e narrativi. Non potendo ricorrere al collirio dell’insonne detective Hae-joon, lo spettatore è quindi chiamato a un complesso lavoro di decostruzione dell’immagine (e quindi della storia), a un ri-montaggio della presunta realtà.

Come in un melodramma di Wong Kar-wai, la passione di Hae-joon e Seo-rae deflagra nella forma, grazie alla forma. A differenza di alcuni lungometraggi precedenti di Park, che sembravano disinnescare l’afflato drammatico/sentimentale/sensuale dei suoi personaggi, in Decision to Leave ogni inquadratura, ogni dettaglio, concorre alla costruzione di una impossibile storia d’amore: Hae-joon e Seo-rae, che più volte vediamo insieme, vivono in realtà in due dimensioni diverse, appartengono ad altri destini. Lo vediamo proprio grazie alle immagini, all’elaborazione ingannevole – ma paradossalmente sincera e trasparente – delle immagini. Una serie di simboli e di ossessioni, di gesti ripetuti o eclatanti (il collirio, ma anche l’illogica sfida della vertigine), ci conducono verso l’unico finale possibile, rendono chiari i sentimenti di Seo-rae, la sua innocenza. Novella Kim Novak, Tang Wei è l’attrice che visse due volte, prima e dopo Lussuria, prima e dopo Decision to Leave. O quantomeno speriamo sia così…

Enrico Azzano, www.quinlan.it