LA FORMA DELL’ACQUA
REPLICA
sabato 17/03 - ore 22.30
domenica 18/03 - ore 16.00
venerdì 02/03 - ore 21
sabato 03/03 - ore 20 e 22.15
domenica 04/03 - ore 16, 18.30 e 21
sabato 10/03 - ore 20 e 22.15
domenica 11/03 - ore 16, 18.30 e 21
Nella sua nuova opera, La forma dell’acqua, il visionario Guillermo del Toro racconta una fiaba gotica ricca di suggestioni fantasy, ambientata nel pieno della Guerra Fredda americana (siamo nel 1963) e incentrata su una giovane eroina senza voce.
A causa del suo mutismo, l’addetta alle pulizie Elisa (Sally Hawkins) si sente intrappolata in un mondo di silenzio e solitudine, specchiandosi negli sguardi degli altri si vede come un essere incompleto e difettoso, così vive la routine quotidiana senza grosse ambizioni o aspettative.
Incaricate di ripulire un laboratorio segreto, Elisa e la collega Zelda (Octavia Spencer) si imbattono per caso in un pericoloso esperimento governativo: una creatura squamosa dall’aspetto umanoide, tenuta in una vasca sigillata piena d’aqua.
Eliza si avvicina sempre di più al “mostro”, costruendo con lui una tenera complicità che farà seriamente preoccupare i suoi superiori.
Recensione
Ispirato come non accadeva dai tempi de Il labirinto del fauno, il regista messicano confeziona un fantasy solido, pieno di trovate visive e di cura per i dettagli, a cominciare dalla raffinata ambientazione d’epoca – la storia è ambientata negli anni ’50, in piena Guerra Fredda – e da un eccezionale lavoro sulla scenografia – l’appartamento della protagonista e del suo vicino collegati idealmente alla sala cinematografica sottostante con piani sequenza avvolgenti – che danno al film un’atmosfera retrò permeata di cinefilia nella quale si fonde, perfetto contraltare, l’immaginario perturbante dell’autore.
La fascinazione di del Toro per “i diversi” si concretizza nei protagonisti: la muta Elisa (una strepitosa Sally Hawkins), coraggiosa e sensibile, e la Creatura anfibia (cui dà corpo l’attore e mimo Doug Jones) che diventa oggetto di studi da parte dell’esercito americano (e di brame da parte dei russi) per capirne la reale natura: è un essere senziente dotato di poteri soprannaturali o un mostro guidato solo da impulsi ferini pericoloso per l’uomo? Non ha dubbi a riguardo “lo sbirro cattivo” Strickland: manganello in mano e mentina sempre in bocca, Michael Shannon impersona un villain a tutto tondo, reazionario, razzista e ambizioso, archetipo deviato dell’americano medio dell’epoca (emblematico il suo acquisto di una lussuosa Cadillac come status symbol), che perde il controllo davanti alla comparsa dell’irrazionale, di un essere che, nel suo mondo perfetto diviso in buoni e cattivi, bianchi e neri, non può esistere nella sua diversità. Una diversità che ritroviamo anche nel malinconico pittore Giles, reietto perché omosessuale, senza lavoro perché “non al passo con i tempi” (lui che ancora dipinge a mano cartelloni pubblicitari nell’era della fotografia), che guarda film musicali in bianco e nero, e trova nella diversa Elisa l’unico conforto alla sua solitudine.
I freaks sono gli eroi del cinema di del Toro, incapaci di adeguarsi a un mondo consumista e violento, lo scardinano quasi involontariamente, da magnifici perdenti, con un’incoscienza romanticamente naïf. È un del Toro meno horror e più sentimentale, ma che non rinuncia a momenti di tensione ed effetti crudi nella sua love story fantasy un po’ King Kong e un po’ La Bella e la Bestia (ma la sessualità ora non è più allusiva). Al centro del film il racconto di una realtà, spesso brutale, che il regista affronta dandoci una chiave di evasione, per condurci in un altro mondo: una camera piena d’acqua o un cinema buio dove guardare in uno schermo storie di mostri così simili a noi.