LICORICE PIZZA
Alana e Gary, i due protagonisti di Licorice Pizza, lei venticinquenne senza un vero lavoro e soffocata da una famiglia invadente, lui quindicenne, attore ragazzino e con un innato spirito imprenditoriale, sono creature vive, conflittuali, agitate, in costante movimento eppure inchiodate al loro aspetto sempre identico – lei agile, nervosa a suo modo seducente, lui goffo e ingenuo ma già adulto. Possono esistere solo su uno schermo, in un mondo realistico ma immaginario (la Los Angeles del 1973, nell’immancabile San Fernando Valley di parecchi film di Anderson), non necessariamente una fantasia nostalgica o una proiezione ideale (come in C’era una volta… a Hollywood di Tarantino), ma più semplicemente un set trasformato in una possibilità, in una città del passato in cui vivere per 133 minuti.
Recensione
Alana e Gary non hanno nemmeno bisogno di una trama per essere personaggi: basta il cinema. Come protagonisti di una commedia sentimentale moderna, non vivono una parabola d’amore o un coming of age, ma trovano la loro ragione d’apparire – più che d’essere – nelle singole sequenze di un film episodico e frammentato (senza trama, per l’appunto). Nel doppio piano sequenza iniziale, ad esempio, o nelle scene costruite su movimenti speculari: lui che viene fermato dalla polizia e lei che corre per raggiungerlo; lei che cade da una moto e lui che parte di corsa a soccorrerla; lei che fa la seducente al telefono sotto lo sguardo ingelosito di lui; lei che osserva inviperita lui fare le moine con una sconosciuta…
Del cinema inteso come movimento, luce, colore; di una regia concepita come sguardo aperto verso i personaggi, come attraversamento di uno spazio e di un tempo precisi, con la macchina da presa che si muove in un mondo che ricorda tanto Altman, con gli zoom e i movimenti lenti ad allargare il campo. In questo senso, Licorice Pizza è il film più semplice e in apparenza disimpegnato di Anderson: non tanto perché il più vicino alla sua vita (lui che è figlio di un uomo di spettacolo ed è cresciuto nel sottobosco di Hollywood), ma perché è quello in cui gli elementi del cinema tout court, i movimenti di macchina, il montaggio, la musica, le figure in movimento, sono presenti in maniera gratuita e naturale. Alla maniera del cinema classico, verrebbe da dire, se non fosse che già lo stesso regista ha citato Billy Wilder come principale modello del suo film.
Licorice Pizza non serve a niente, non dice niente, se non ricordare perché si fanno film e perché si guarda il cinema: per credere nel mondo, per entrare in mondi credibili, per conoscere l’idea di possibilità.
Licorice Pizza è un film che si specchia in sé stesso, narrativamente e visivamente, e che rimanda allo spettatore un’immagine da ammirare e a cui, possibilmente, affezionarsi (non c’è da seguire la storia, c’è da abbandonarsi a essa).
Roberto Manassero ww.cineforum.it