LIMONOV
(Italia, Francia, Spagna / 2024 / Biografico / 138')
13, 14, 15, 16 gennaio
Ispirato alla biografia romanzata scritta da Emmanuel Carrère, il film racconta le vicende rocambolesche della vita di Ėduard Limonov. Teppista di strada nell’Ucraina sovietica del dopoguerra, diventa un poeta autodidatta a Mosca negli anni del Disgelo; emigrato a New York, perde tutto e passa da barbone a maggiordomo in casa di milionari; raggiunge la fama in Francia scrivendo schiettamente delle sue vicissitudini e appetiti sessuali; cacciato dai salotti letterari dopo aver combattuto in Jugoslavia al fianco di criminali di guerra serbi, torna infine nella Russia post-sovietica, fondando un partito “nazional-bolscevico” e diventando inaspettatamente uno dei riferimenti dell’opposizione a Putin.
Recensione
Esordio in lingua inglese del regista russo, Limonov è un’epopea punk rock che si muove al ritmo di un treno che esce dai binari attraverso Mosca, New York, Parigi e di nuovo in Russia. Ben Whishaw offre un’eccellente interpretazione nel ruolo del sedicente poeta alternativo e dissidente politico Ėduard Limonov, morto nel 2020. Il film spazia dagli anni ’60 alla Siberia dei giorni nostri per raccontare con eccesso orgiastico la storia del fondatore del Partito Nazionale Bolscevico, che ha unito un movimento giovanile di estrema sinistra all’ideologia fascista di estrema destra. Ma mentre la politica di Limonov è inestricabile dall’edonista libertino che era, il film di Serebrennikov è più un’odissea romantica puramente piacevole che un’immersione politica. Irradia un’energia controculturale che sa di cinema libero degli anni ’70 più che di un film contemporaneo.
La sceneggiatura, scritta da Serebrennikov e Whishawh in collaborazione con Paweł Pawlikowski, interamente in inglese, conferisce a Limonov un sapore internazionale appropriato per un film ambientato principalmente negli Stati Uniti, ma prodotto da italiani e diretto da un russo.
L’energia senza limiti del film è moltiplicata dal direttore della fotografia Roman Vas’janov, che mescola uno stile d’archivio in 8 mm con riprese in 35 mm, e dal montaggio incalzante di Yuriy Karikh, che mantiene la storia in movimento. La politica interessa a Serebrennikov meno dello stile e del puro piacere del cinema. Un’audace sequenza di riprese lunghe segue Whishaw che cammina letteralmente attraverso diverse fasce temporali degli anni ’80, ognuna delle quali gli si materializza nella forma di una stanza che sta attraversando, fino al crollo del muro di Berlino e alla caduta della cortina di ferro. Non è la solita epopea storica. Ci sono molti momenti di estasi in Limonov, che a volte esplodono in una canzone. L’eccesso di energia del film non si esaurisce quasi mai, e ci martella con il baccanale che si scatena anche dentro il suo protagonista.
Il che ci riporta a Whishaw, che offre quella che sarà ricordata come una delle sue migliori interpretazioni. Whishaw è impavido e spigliato in molti modi e si cala liberamente nel personaggio di Limonov, immergendosi nella bellissima poesia e prosa dello scrittore. Mai prima d’ora era stato così profondo, corporeo e persino agrodolcemente riflessivo, come quando Limonov, poco più che quarantenne, torna nella sua città natale decenni dopo aver abbandonato i genitori, che sono ancora lì ad aspettare che metta su famiglia. Whishaw e Serebrennikov, regista di film come L’influenza di Petro e La moglie di Tchaikovsky, che da tempo fondono la fantasia con la realtà e il sogno con la veglia, sono sempre sulla stessa lunghezza d’onda e sembrano aver compreso perfettamente il materiale. Anche quando Limonov inciampa, non smette mai di muoversi con la stessa inquietudine del suo protagonista reale.
Ryan Lattanzio, www.indiewire.com