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L'OMBRA DI CARAVAGGIO

un film di Michele Placido
Sabato 12 novembre - ore 20.00
Domenica 13 novembre - ore 16.00, 18.15 e 20.30

Dio crea infiniti universi, infiniti mondi, infiniti soli… ripete tra sé e sé il Giordano Bruno di Gianfranco Gallo nella vertiginosa sequenza in cui Caravaggio lo riconosce in cella, che è il nucleo (l’incontro sarebbe dovuto essere un testo teatrale, come ha raccontato il regista) intorno a cui si è costruito il progetto di questo film. E infiniti mondi sembra contenere il cinema di Placido, in un’opera apertissima che dialoga con mille suggestioni diverse, dalla rievocazione sognante sulla scia dell’ultimo Martone fino alle ossessioni della sua carriera registica – il corpo, innanzitutto: quello del protagonista Riccardo Scamarcio viene martoriato sin dalla prima sequenza, una spada gli trafigge la guancia, e subito dopo il pittore intuisce che è proprio quel volto sfregiato a dover diventare la faccia del suo Golia.

Recensione

La visione sgorga dalle cicatrici, dalle ferite, dai segni delle frustate sulla schiena delle prostitute portate per essere curate al lazzaretto degli ultimi, a Santa Maria in Valicella a Roma: e torna alla mente l’insistenza strepitosa sull’autolesionismo di Vallanzasca in prigione nel film con Rossi Stuart. Fino all’abissale sequenza in cui il pittore costruisce uno dei suoi quadri intorno al cadavere della cortigiana Annuccia recuperato dal Tevere, dove la donna s’era tolta la vita, e al nugolo di emarginati che le si stringe attorno (si tratta della celebre Morte della Vergine).Ecco, il delirante Caravaggio di Placido è chiaramente un altro dei suoi grandi personaggi maledetti, destinati a sconvolgere il mondo (o i mondi) con il loro carisma travolgente, la loro inquietudine distruttiva, il loro immenso amore. Ma questo è soltanto uno degli infiniti soli che reggono il film, che imbastisce questa struttura wellesiana basata sulle confessioni e le rievocazioni dei personaggi che ruotano intorno alla latitanza di Caravaggio, interrogati da questa sorta di inquisitore senza nome (“i miei uomini mi chiamano l’Ombra”) interpretato da Louis Garrel, incaricato dal Papa di investigare sulla possibilità o meno di una grazia al pittore, colpevole di omicidio. E poi c’è la dimensione esplosa della ricostruzione storica, continuamente squarciata anch’essa, come i corpi del film, da giochi con le lenti dell’obiettivo, inquadrature “spezzate” e fuori fuoco (Michele D’Attanasio quasi ophulsiano in zona Lola Montes), scene di massa e vedute su paesaggi e monumenti (tra Roma e Napoli) che cercano appunto di restituire una resa pittorica del tempo (o degli infiniti tempi…) della vicenda.

Sergio Sozzo, Sentieri Selvaggi