L'ULTIMA NOTTE DI AMORE
(Poliziesco-Noir / 2023 / Italia / 120')
Domenica 26 marzo - ore 16.00, 18.15 e 20.30
Di Franco Amore si dice che è Amore di nome e di fatto. Di sé stesso lui racconta che per tutta la vita ha sempre cercato di essere una persona onesta, un poliziotto che in 35 anni di onorata carriera non ha mai sparato a un uomo. Queste sono infatti le parole che Franco ha scritto nel discorso che terrà all’indomani della sua ultima di notte in servizio. Ma quella notte sarà più lunga e difficile di quanto lui avrebbe mai potuto immaginare. E metterà in pericolo tutto ciò che conta per lui: il lavoro da servitore dello Stato, il grande amore per la moglie Viviana, l’amicizia con il collega Dino, la sua stessa vita. In quella notte, tutto si annoda freneticamente fra le strade di una Milano in cui sembra non arrivare mai la luce.
Recensione
L’ultima notte di Amore si apre su un lungo e articolato movimento di camera notturno a volo d’angelo sui tetti di Milano, un piano-sequenza che permette allo spettatore di guardare la città dall’alto, e in qualche modo di dominarla. Non è un dominatore della città Franco Amore, Assistente Capo della polizia meneghina che si appresta ad appendere la pistola al muro e andare in pensione: la figlia avuta dal primo matrimonio è all’estero a studiare, e lui potrà godersi la pensione con la sua nuova compagna Viviana, che lo adora. Ma c’è una telefonata che costringe l’uomo a uscire di nuovo di casa, con ancora indosso gli abiti con cui ha fatto jogging serale.
L’ultima notte di Amore è un film secco, ossuto, che dichiara fin dall’incipit l’intenzione di non lasciare requie allo spettatore che dovrà, alla pari del protagonista, immergersi nel buio più pesto della notte per cercare di riemergere alla luce, un po’ come quell’alba che accoglie Franco ai ridossi del Duomo e in cui il film accenna una timidissima speranza. La speranza, d’altro canto, è l’ultima a morire. Le morti non mancano in questa turpe vicenda che vede Franco irretito, seppur senza mai riporre la propria cautela, dal potere del denaro, quel denaro che sempre nella notte si muove e nei modi e nelle forme più disparate. Il cugino traffichino di Viviana gli procura un contatto con un imprenditore cinese di stanza in città, e nonostante non sia ancora in pensione – mancano poche ore – Franco accetta, trascinandosi dietro un collega, il suo più caro amico, con la promessa di soldi facili e da non dichiarare, una manna per chi è da solo, guadagna 1800 euro nella città più cara d’Italia, e deve anche crescere un figlio. Ovviamente, di nuovo, lo spettatore sa che non tutto potrà andare liscio come l’olio. Ma non è il colpo di scena che va cercando Di Stefano, e non c’è nessun rompicapo da risolvere: con molta più consapevolezza di opere a lei coeve L’ultima notte di Amore si assesta dalle parti del prodotto medio, del film di genere che ha come scopo precipuo quello di intrattenere il suo pubblico facendolo aderire alle sorti del personaggio principale, senza porsi al di sopra delle parti in una chiave giudicante, ma cercando semplicemente di capire come si possa uscire vivi da una situazione così compromessa. Se la figura di Amore è fin troppo basica nella sua semplicità – ed è merito dell’interpretazione di Pierfrancesco Favino se il personaggio assume una rotondità che ne stratifica il comportamento –, molto interessante è quella di Viviana, che nulla vuole avere a che fare con gli affari loschi dei cugini eppure allo stesso tempo è l’unica a tramutarsi davvero in deus ex machina, evadendo dallo schema e cercando di dominare una situazione in cui rischia solo di rimanere schiacciata. Se l’epos tragico funziona a un livello elementare, L’ultima notte di Amore è corroborato da alcune sequenze d’azione estremamente riuscite, in cui Di Stefano dimostra di conoscere bene il meccanismo della tensione, e di saper gestire in modo accurato lo spazio scenico: il lungo blocco narrativo che va dalla partenza in macchina dall’aeroporto fino a ciò che accade in una galleria è la testimonianza più efficace di una consapevolezza assoluta di ciò che si sta mettendo in scena, e dei motivi portanti che determinano la riuscita o meno di un noir ad alto tasso adrenalinico. Se la scelta di Milano riannoda i fili sbrindellati con l’universo immaginifico di Fernando Di Leo – e per ovvia estensione di Giorgio Scerbanenco –, la forte presenza in scena di attori cinesi spinge l’immagine in modo naturale in direzione dell’action hongkonghese, patria oramai quarant’anni addietro della riscrittura del poliziesco in fogge nuove. Senza perdersi in digressioni inutili e senza mettere in campo ambizioni che con ogni probabilità non sarebbe in grado di maneggiare con cura, Di Stefano confeziona un prodotto di genere convincente, che sa anche come gestire il cliché senza scadere nel grossolano. E l’inquadratura finale, che tutto chiude e tutto apre allo stesso tempo, resta impressa nella memoria.
Raffaele Meale, www.quinaln.it