LUNANA. IL VILLAGGIO ALLA FINE DEL MONDO
Attraverso una storia di sorprese e rivelazioni, in cui il giovane Ugyen è costretto ad accantonare il desiderio di trasferirsi in Australia per insegnare in un villaggio remoto dell’Himalaya, il debuttante Pawo Choyning Dorji adegua il conflitto del protagonista alla spazialità rarefatta dell’ambiente. In Lunana: Il villaggio alla fine del mondo, infatti, è il viaggio tra le montagne a costituire il mezzo, strumento e veicolo unico per la riscoperta della propria soggettività. E nel raggiungere la remota località di Lunana – situata a 4.800 metri d’altitudine – Ugyen intraprende un percorso esistenziale, più che fisico.
Recensione
In un pellegrinaggio dallo statuto conciliatorio, in cui le aspirazioni di alterità geografica (l’Australia) cedono il passo ad una forza centripeta, rivolta adesso verso l’interno (e, dunque, verso il cuore del paese). Un tragitto che Dorji (saggiamente) delinea attraverso l’incontro/scontro di tecnologia digitale e spirito analogico. Vivendo nella capitale occidentalizzata, Ugyen non ha alcuna possibilità di scoprire se stesso, con l’ultra-digitalizzazione dell’ambiente metropolitano a cannibalizzarne i rapporti emotivi. L’unico modo che ha per evadere dal senso di smarrimento, e di ritrovare nel contempo le coordinate esistenziali, è sostituire l’assuefazione tecnologica con l’essenzialità della natura. Una transizione ontologica destabilizzante, che il cineasta filtra attraverso un senso fenomenologico dello spazio, per condurre il protagonista all’accettazione (definitiva) della cultura originaria della propria terra. E per quanto la distanza (geografica, umana, identitaria) tra Ugyen e gli abitanti di Lunana sembri (in apparenza) incolmabile, il disvelamento delle radici culturali ne rivela una connessione naturale. È solo specchiandosi nei volti dei suoi studenti/bambini, sullo sfondo di un’autoctonia ritrovata, che il protagonista può arrivare a comprendere (e a formare) la propria identità, iscritta adesso in una spazialità pacificatrice.
L’essenzialità di linguaggio (e di narrazione) di cui si serve Lunana: Il villaggio alla fine del mondo, rispecchia una semplicità di racconto che trascende la mera cornice filmica. La propensione alla linearità narrativa, riflette non solo la spontaneità della storia, ma anche la povertà di mezzi con cui è stata portata sullo schermo. Nel girare su un remoto declivio di montagna con un “cast” locale – che mai aveva recitato, né visto un film – Dorji esalta la semplicità comunicativa a centro paradigmatico del racconto, fugando ogni pretesa di profondità. Tutto in direzione di un’opera onesta e coerente, in cui la sincerità espressiva degli interpreti è fonte, origine e magma di una narrazione propriamente autoctona, che richiama l’iconografia di Non uno di meno (Zhang Yimou, 1999) in virtù di una connotazione fortemente identitaria. Il testamento di un racconto lineare, che sull’onda dell’irripetibile candidatura agli Oscar, trascende i suoi (ristretti) confini spaziali, per comunicare immaginariamente con il mondo intero.
Veronica Orciari www.sentieriselvaggi.it