NOSTALGIA
Dopo molto tempo trascorso fra il Libano e l’Egitto Felice, diventato imprenditore benestante, torna a Napoli, la città dove ha vissuto fino ai 15 anni. Sua madre Teresa, “la sarta migliore del Rione Sanità”, abita in un basso, e accoglie a braccia aperte quel figlio che credeva perduto per sempre. A poco a poco Felice riprende contatto con un mondo che aveva messo forzatamente da parte e incontra Don Luigi, un prete
che combatte la camorra cercando di dare un futuro ai giovani del rione. Ma Felice ha anche bisogno di ricongiungersi con Oreste, amico fraterno e compagno di scorribande adolescenziali, che della camorra è diventato un piccolo boss. E a nulla valgono i consigli ad andarsene da Napoli e dimenticare quell’amicizia pericolosa: come se fosse possibile, lasciarsi alle spalle una città che ti è entrata per sempre nel cuore.
Recensione
Ci aveva travolti alla Mostra del Cinema di Venezia con Qui rido io – la storia di Eduardo Scarpetta, omaggio a una delle maschere più grandi della Storia italiana – e ora Mario Martone approda al Festival di Cannes con Nostalgia. Tratto dal romanzo omonimo di Ermanno Rea, Nostalgia è la storia di Felice Lasco (Pierfrancesco Favino) che torna a Napoli dopo quarant’anni, nel suo rione Sanità, per visitare la madre. Giorno dopo giorno, in notevoli affreschi visivi, dalla memoria di Felice riemergono ricordi pastorali gioiosi e le difficili motivazioni della sua partenza per l’Egitto in giovanissima età. Ultimamente la critica è spesso basata sul sentimento o sulla logica dei ‘riccardoni’ applicata al cinema, ma credo che Martone sia uno dei pochi registi che riesce a mettere tutti d’accordo (americani esclusi). Ogni scelta del regista è studiata e meticolosa ma non c’è mai la sensazione di studiata dissociazione chirurgica. Dalle strade di Napoli, ai volti nella folla e nel maelstrom della città, c’è una cura che è impossibile non apprezzare nei lavori di Martone.
Nostalgia, benché sia difficile capire il microcosmo dei quartieri napoletani al di fuori dei suoi confini, ha il respiro dei grandi racconti e non è mai provinciale ma universale, con uno occhio di riguardo nei confronti delle proprie radici locali. Rione Sanità è un quartiere tentacolare che vive e si distrugge per se stesso e in se stesso. Unico baluardo di una quotidianità violenta, ma elemento naturale quanto il paesaggio, il parrocco Don Luigi (Francesco Di Leva) un appoggio per Felice e figura che si frappone tra la gioventù e la camorra, perfetto contraltare rispetto a un male che appare a tutti necessario perché endemico. “La nostalgia è delicata ma potente” è questa la malattia che contrae Felice appena rimesso piede a Napoli. Uomo realizzato professionalmente, sposato e che ha trovato pace nella fede mussulmana, Felice vive un entusiasmo violento verso il suo passato, in quel paese distorto che è la memoria, nel ricordo del migliore amico Oreste (un perfetto Tommaso Ragno che pare una rockstar) conosciuto nel quartiere come il ‘Malommo’, ormai camorrista.
Chi ha detto che è bello essere vivi? cantavano i Voidoids, chi dice che la nostalgia è un sentimento sano e che non strisci sottopelle esattamente come fa la speranza dal vaso di Pandora? Lady Greengrass dei Tangerine dream prende per mano Felice in quella strada ambigua di mattoni gialli che è nostalgia, fino a un cantato ma non per questo meno potente epilogo. Perdersi è meraviglioso, ma in quel labirinto che è rione Sanità i ricordi sono solo un gioco al massacro.
Maria Eleonora Mollard, www.mediacritica.it