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PADDINGTON IN PERÙ

un film di Dougal Wilson
(Gran Bretagna, Francia / 2024 / Commedia - Animazione / 106’)

Domenica 10 agosto, ore 21.00

Anfiteatro di Palazzo Toaldi Capra
via Pasubio, 52 – Schio (VI)

In caso di maltempo gli spettacoli si svolgeranno
al 1° piano di Palazzo Toaldi Capra, in Sala Affreschi.

La programmazione potrebbe subire variazioni.

Recensione

Paddington e la famiglia Brown fanno visita a zia Lucy in Perù, ma circostanze misteriose li costringono ad addentrarsi negli angoli più remoti della foresta amazzonica e sulle montagne peruviane.
Siamo ancora nella parte introduttiva di Paddington in Perù quando entra in scena Antonio Banderas, capitano di una nave sul Rio delle Amazzoni. Arriva con un’imbarcazione d’epoca, il cappello e la tenuta bianca e, soprattutto, con un grammofono da cui esce un’aria d’opera mentre la nave attracca. È Fitzcarraldo, il film di Werner Herzog con Klaus Kinski, citato nel terzo film di una serie per bambini. Un riferimento tutt’altro che noto, un omaggio pensato per veri appassionati. Ma questo è Paddington, un modello di cinema per l’infanzia con un altissimo grado di autoironia, capace di fare una cosa (l’avventura per ragazzi) e prenderla in giro al tempo stesso, in tanti modi diversi e per pubblici diversi, senza mai sminuire la forza avventurosa del racconto. È un film che trasmette il piacere di guardare opere ben fatte, indipendentemente dal pubblico di destinazione.
Questa capacità di fare “cinema per ragazzi” la serie di Paddington la esprime con eccezionale grazia e grande abilità nell’uso dei mezzi cinematografici. Anche al terzo film. Anche con tutto il peso di una saga che dura da dieci anni, tenendo conto dell’età crescente dei suoi attori e della maturazione dei suoi spettatori. Riesce a farlo nonostante un cambio significativo nel team creativo. Paul King, regista e sceneggiatore del primo e del secondo film, non è più alla regia. Al suo posto c’è Douglas Wilson, regista pubblicitario, affiancato da un team di sceneggiatori provenienti dalla serie TV di Paddington. Eppure, la macchina è così solida e lo spirito così centrato da garantire ancora una volta il successo.
Avventuroso come un Indiana Jones per bambini, il film è semplicissimo nella struttura e nelle relazioni, ma eseguito alla perfezione. Come in molti film d’animazione, opere per l’infanzia (e persino in qualche grande produzione per adulti), c’è un “mondo perduto”: un luogo che nessuno sapeva esistesse, rimasto nascosto per secoli, caratterizzato da una natura particolare. Un espediente visto e rivisto che Paddington in Perù riporta però l’espediente alle origini, recuperando il mito di El Dorado e un esotismo di cui si sentiva la mancanza.
A fare la differenza, in un film come questo, è il lavoro sugli attori. Antonio Banderas e, soprattutto, Olivia Colman hanno un ruolo cruciale nel concretizzare l’idea di un film per ragazzi autoironico, capace di unire due estremi: la serietà nell’approccio all’avventura e la cretineria tipica di Paddington. Quando incontriamo Olivia Colman, lei introduce il suo convento di suore con una canzone che sprigiona una contagiosa gioia parodica. Canta come in Tutti insieme appassionatamente, ma tutto in lei è finto: fa il doppio gioco. La sua recitazione gioca su questa doppiezza, rivelandola subito e divertendosi a essere solo apparentemente convincente nel presentarsi come un personaggio positivo. Con il più ipocrita dei sorrisi, maschera le sue cattive intenzioni, e fa così bene il farlo male, da comunicare quale sia il piacere da provare nel guardare Paddington.
È quel piacere che caratterizza la miglior produzione britannica per l’infanzia rispetto a quella americana. Non ci sono, come nei film Pixar, doppi livelli di lettura (riferimenti per gli adulti che i bambini non colgono o strizzate d’occhio complici). Qui l’autoironia si manifesta direttamente nel costruire un’avventura in cui nessuno crede davvero ma tutti ci si divertono. I bambini la prendono sul serio; gli adulti, invece, si divertono a osservare interpreti bravissimi fingere di fare sul serio.
Gabriele Niola, www.wired.it