PROFUMO DI TÈ
(Francia, Lussemburgo, Taiwan, Mauritania, Costa d’Avorio / 2024 / Drammatico, Senti-mentale / 110')
31 marzo e 01, 02, 03 aprile
Dopo aver detto di no il giorno del suo matrimonio, Aya lascia la Costa d’Avorio per una nuova vita nella vivace “Chocolate City” a Guangzhou, Cina. In questa enclave dove la diaspora africana incontra la cultura cinese, viene assunta in una boutique del tè di proprietà di Cai, un cinese. Nel segreto del retrobottega, Cai decide di iniziare Aya al gong fu cha, l’antica arte di preparare il tè. Il loro rapporto lentamente si trasforma in tenero amore. Ma perché la loro passione si basi sulla fiducia, devono affrontare il loro passato.
Recensione
Aspettando la felicità: sono passati dieci anni da Timbuktu, e Abderrahmane Sissako si ripresenta (in Concorso a Berlino 74) con Profumo di tè, per definire un mondo in cui agli esistenti si offre la scelta tra la menzogna e l’essere felici, tra la verità dei sentimenti e l’accettazione delle convenzioni. Il no detto sull’altare dalla protagonista Aya all’inizio del film è una determinazione di consapevolezza, non un atto di rivolta. Un gesto mirato a marcare il senso placido con cui Sissako pone il suo sguardo sulla realtà. Naturalmente tutto è sospeso in una rappresentazione che tende quasi a definire lo spazio reale in chiave ideale, come fosse il frutto di un pensiero della realtà differente e solo per questo problematico. Il tema dell’emigrazione diventa lo spazio ideale per l’affermazione di un principio di autenticità dei sentimenti, prima ancora che la ricerca di uno spazio fisico ed economico vitale. Ma questo è evidentemente un film che va dritto alla sostanza della questione: il diritto alla felicità come spazio di una conquista non individuale, ma trasversale, come condivisione di un sentire che deve appartenere a tutti, all’intera comunità che diventa quasi un corpo solido, unico e identitario, al di là delle etnie e delle culture. Aya, dopo il no sull’altare pronunciato all’inizio nel nome della felicità sua e prima ancora del marito, che evidentemente la sta sposando per convenzione, senza amarla davvero, lascia la Costa d’Avorio. La giovane donna riappare nel negozio di tè di Cai, uomo dolce che le insegna l’arte di quella antica bevanda e segue implicitamente il filo del reciproco innamoramento che si dipana discreto nel corso dei giorni. Attorno brulica una vita che tiene insieme nel quartiere commerciale attività asiatiche e africane, in un sincretismo culturale che diventa la cifra espressiva e stilistica del film: tutto riluce di cromatismi e impianti scenici iperrealistici, in cui i giochi di riflessi smarginano i perimetri come a offrire un mélange visivo in cui lasciar confondere le forme. Tutto è immerso in una perenne notte che offre quasi una dimensione onirica all’intreccio di storie d’amore, di figure in cerca di serenità, dolcezza, felicità. La narrazione procede lenta e incede senza darsi troppa pena di cercare una consecutio effettiva tra i blocchi narrativi e tra le sottotrame che sviluppa. La coralità sembra quasi una comune della narrazione identitaria, in cui i dolori, gli amori, le attese, le delusioni, le speranze le gioie sono offerte da Sissako come un pasto condiviso sulla mensa delle esistenze di ognuno e di tutti. Se qualcosa appare un po’ lezioso, se qua e là si rischia di ritrovarsi affaticati, è problema di poco conto nell’economia complessiva del film: Profumo di tè lavora sulla lunghezza d’onda delle emozioni, sulla distanza della visione d’insieme. E in quanto tale è un film che resta e che saprà dialogare col pubblico.
Massimo Causo, www.sentieriselvaggi.it