QUEL GIORNO TU SARAI
In occasione della Giornata della memoria il presentato a Cannes premier 74 e in apertura al 36° Trieste Film Festival 2022
Fotografare con lucidità icastica un trauma. Mettere in scena il dolore senza enfatizzazioni iperboliche, nella sua cruda inclemenza. Kata Wéber e Kornél Mundruczó, sceneggiatrice e regista ungheresi, riescono a raccontare vicende traumatiche e le loro dolorose conseguenze con una maestria fulminante. Lo hanno dimostrato con Pieces of a woman, il loro primo film in lingua inglese, presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, che li ha portati all’attenzione del grande pubblico. Lo confermano con Quel giorno tu sarai, applaudito fuori concorso al Festival di Cannes e prodotto da Martin Scorsese, un incisivo percorso attraverso tre generazioni e il loro differente modo di elaborare l’eredità della Shoah.
Recensione
Éva, Léna e Jónás
Tre capitoli; tre storie; tre generazioni nella Storia. Al termine della Seconda Guerra Mondiale dei soldati polacchi trovano nel campo di concentramento di Auschwitz in sgombero una bambina ebrea ungherese, miracolosamente sfuggita alla morte. È la piccola Éva (Lili Monori) che, decenni più tardi, ormai divenuta anziana, si confronta e si scontra con la figlia Léna (Annamária Láng) riguardo la tragedia vissuta dalla sua famiglia. Anche Léna ha un figlio, il dolce Jónás, (Goya Rego) che nella Berlino contemporanea deve ancora fare i conti con l’intolleranza ai danni degli ebrei.
Il peso della memoria
“Eravamo ebrei quando non potevamo esserlo; ora che possiamo esserlo, non siamo ebrei”. È in un battuta di Léna il senso del dramma storico, sociale e personale al centro di Quel giorno tu sarai. Come si elabora nell’intimo di una famiglia un trauma di dimensioni epocali come la Shoah? Éva, non può e non vuole dimenticare le atrocità che ne hanno cancellato l’infanzia; porta sulle spalle il peso della memoria con tenacia, ma è ormai disillusa: ha perso la fiducia in una società che la stigmatizza, o al contrario, la eleva ipocritamente a simbolo. Léna non ha vissuto direttamente il trauma dei campi di sterminio, ma è cresciuta facendosi carico di una responsabilità che non ha mai compreso fino in fondo: sopravvivere per chi non ce l’ha fatta. Ormai adulta, però, non vuole essere una sopravvissuta; vuole vivere. Jonas incarna la generazione che sta per perdere il contatto con il passato, la cui identità è in crisi: è ebreo, ungherese o tedesco? Allo stesso tempo, però, è ancora vittima dei lasciti di un odio difficile da sradicare in un Europa che pare essersi scrollata di dosso la memoria con eccessiva indifferenza.
Evoluzione di un trauma
Pieces of a Woman si apriva con un lunghissimo e disturbante piano sequenza. Quel giorno tu sarai si manifesta quale un inanellarsi di piani sequenza altrettanto lunghi, in grado di restituire a livello tecnico e visivo quel concetto di evoluzione (il titolo originale del film è proprio Evolution) che soggiace al racconto dell’elaborazione del trauma da parte delle tre generazioni protagoniste. Allo stesso tempo, però, questo espediente pare dare forma concreta al tempo che scorre e permette allo spettatore di immergersi totalmente nella narrazione, quasi fosse al fianco di Éva e Léna mentre battibeccano o sul monopattino di Jonas quando sfreccia verso casa. Il piano sequenza crea un canale privilegiato che, assieme alle splendide interpretazioni degli attori (Lili Monori tra tutti), crea un’empatia assoluta tra pubblico e personaggi. Personaggi vivi, fragili ma caparbi, che fra le mani di Wéber e Mundruczó brillano per la loro autenticità.
Gabriele Guerrieri www.spettacolo.eu