ROMA
sabato 02/03 - ore 21.00
domenica 03/03 - ore 15.30, 18.00 e 20.30
Versione in lingua originale con sottotitoli in italiano
Prezzi riservati ai Soci
Intero: 6,5 euro
Ridotto: 5,5 euro (over 65 anni, under 14 anni)
Prezzi al pubblico
Intero: 7 euro
Ridotto: 6 euro (over 65 anni, under 14 anni)
Recensione
Roma caput mundi
Roma è il quartiere residenziale altoborghese di Città Del Messico dove crebbe Alfonso Cuarón, il quale, dopo aver immaginato il futuro prossimo nella fiaba distopica I figli degli uomini, e dopo aver viaggiato nello spazio e nelle paure più profonde in Gravity, fa un passo indietro nel passato e compone un fluviale e autobiografico affresco di vita famigliare che rielabora la sua infanzia.
Roma è una saga intimista e privata capace però di apparire magniloquente e solennemente elegiaca, intimamente epica, dove il virtuosismo stilistico tipico del regista è meno urlato di altre volte, ma è altrettanto evidente e decisivo. Il film è girato in un luminoso e terso bianconero in cui anche nei momenti più tragici le luci prevalgono sulle ombre, e che dà il tono della rielaborazione lucida e nostalgica, elegiaca e amara, alle non numerosissime gioie e ai dolori di un nucleo familiare che nella metà degli anni Settanta viveva in un ampio appartamento nel quartiere che dà il titolo al film. Perdite, sparizioni e crisi segnano il passo e allo stesso tempo rafforzano la speranza, i legami e la fraternità. Protagonista è infatti Cleo, la domestica di casa. Cuarón principalmente racconta la sua “storia” ed è dal suo punto di vista che osserviamo i drammi, l’evoluzione e le nuove consapevolezze del nucleo famigliare, soprattutto grazie ad un gioco di specchi con la madre di famiglia. Roma è infatti un film femminile dove i maschi adulti compaiono pochissimo, sono moralmente piccoli e non degni di essere davvero approfonditi e capaci di essere decisivi solo nel dolore. Non a caso è a loro che vengono dedicati la maggior parte dei momenti da commedia, tra l’ironico e il ridicolo, che saltuariamente fanno capolino nella cornice melodrammatica di fondo (per esempio, Il tormentone degli escrementi di cane e la sequenza dell’allenamento di arti marziali). Intanto, la storia del Messico, tra terremoti e sanguinose rivolte di piazza, fa capolino, senza però mai davvero prendere il sopravvento. Cuarón rimane infatti ancorato al privato e all’intimo, suo e dei personaggi; non si stacca dalla rielaborazione del suo passato e dal dramma della protagonista e di chi la circonda e legge il contesto solo in relazione ai suoi effetti più immediati sui personaggi. Si chiude negli spazi interiori e lascia, in qualche modo come in Gravity, al cinema puro e alla sua capacità di essere affabulazione, epica ed emozione il compito di allargare lo sguardo e di rendere l’intimo universale. Il risultato è di un’intensità rara che, banalmente, emoziona e per lunghi tratti meraviglia dando, nonostante la produzione Netflix – ed è un aspetto molto interessante –, la sensazione quasi tangibile della necessità del grande schermo e del cinema più tradizionalmente puro e magniloquente.
Edoardo Perretti
www. mediacritica.it