SUR L’ADAMANT
(Francia, Giappone / 2023 / Documentario / 109’)
Martedì 23 luglio, ore 21.30
In collaborazione con Associazione Contro l’Esclusione.
Anfiteatro di Palazzo Toaldi Capra
via Pasubio, 52 – Schio (VI)
In caso di maltempo gli spettacoli saranno annullati.
Recensione
Parigi. Sulla Senna è ormeggiato un edificio galleggiante denominato l’Adamant. Si tratta di un centro diurno inaugurato nel 2010 e messo a disposizione dei primi quattro arrondissement della capitale francese. I pazienti con problematiche psichiatriche possono frequentarlo quotidianamente oppure andarci ogni tanto. Il lunedì mattina, dopo una colazione fatta insieme (i pazienti sono di tutte le età) si stabilisce l’agenda della settimana con l’equipe formata da infermiere, psicologi, psichiatri ed altri professionisti.
Chi conosce il cinema di Nicolas Philibert sa con quanta delicatezza e attenzione nei confronti dei soggetti ripresi si pone dietro alla telecamera. In questa occasione la sua coscienza gli imponeva un doppio esame. Perché era consapevole che basta pochissimo per passare dalla testimonianza alla violazione dell’intimità quando si ha di fronte un diversamente abile sul piano psichiatrico. Ha anche questa volta saputo trovare il modo per far sì che ciò che compare sullo schermo favorisca la conoscenza e quindi la disponibilità all’attenzione e all’integrazione e non il voyeurismo fine a se stesso.
Il fil rouge che guida il film è affidato in apertura ad uno dei frequentatori dell’Adamant che canta una canzone dei Téléphone. Alcuni dei suoi versi dicono: “Voglio parlarti di te, di me/Vedo dentro immagini e colori/Che non sono mie, che a volte mi fanno paura”. Seguono poi le riunioni in cui si decide l’agenda settimanale e numerosi interventi di coloro che nell’Adamant trovano un luogo in cui potersi liberamente esprimere.
Philibert, con una camera che si mette a disposizione di chi parla senza mai cercare la bella inquadratura, consente loro di raccontarsi, di esprimere le proprie insicurezze ma anche il proprio bisogno non solo di essere aiutati ma anche, a volte, di aiutare.
Abbiamo così l’uomo che ritiene che gli psicofarmaci non siano una gabbia ma piuttosto il sostegno per permettergli di continuare una vita dignitosa. C’è chi afferma di aver detto al proprio padre di riconoscersi come l’unico fallimento della sua vita oppure una madre consapevole del fatto che a 5 anni il proprio figlio sia stato dato in affido perché lei non era più in grado di garantirgli uno sviluppo sereno. Come c’è chi, esperta di terapie che prevedono la danza, vorrebbe metterle a disposizione della comunità pur essendo consapevole che l’ostacolo è dato dal fatto di essere a sua volta una paziente.
di Giancarlo Zappoli, mymovies.it