THE KILLING OF A SACRED DEER
20, 21, 22 marzo 2018
Premio per la sceneggiatura al Festival di Cannes 2017.
Una famiglia borghese. Moderna, inserita nella società.
Di successo. L’avvento di un ospite inatteso, introduce nella famiglia altolocata una forza atavica che rivelerà ciò che si annida al di sotto del benessere e della compostezza del mondo benestante: le sue pulsioni, la fragilità dei suoi principi, la voglia di sopravvivere ad ogni costo.
Uno scontro tra due mondi e due razionalità: quello contemporaneo basato sulla cieca fiducia nella ragione, sul mito del “self-made man” e quello mitico della tragedia greca e della Bibbia, in cui la credenza di poter autodeterminare il proprio destino era considerata una grave colpa.
L’hybris, la tracotanza, che le divinità greche e il Dio dell’Antico Testamento non erano soliti perdonare, tutt’altro.
Scheda tecnica
Titolo Originale
The Killing of A Sacred Deer
Regia
Yorgos Lanthimos
Paese, anno
Regno Unito, Usa, Irlanda,2017
Genere
Drammatico, Thriller
Durata
109’
Sceneggiatura
Yorgos Lanthimos, Efthymis Filippou
Fotografia
Thimios Bakatakis
Colonna sonora
Sarah Giles, Nick Payne
Montaggio
Yorgos Mavropsaridis
Interpreti
Colin Farrell, Nicole Kidman, Barry Keoghan, Sunny Suljic, Denise Dal Vera, Alicia Silverstone, Raffey Cassidy, Bill Camp
Recensione
Nella sua ultima opera, il più americano dei suoi lungometraggi, George Lanthimos non rinuncia al nucleo tematico del suo cinema, i rapporti interpersonali all’interno della famiglia, ma plasma l’intreccio del suo film in modo più lineare rispetto a quanto realizzato fino ad ora. La trama è solo apparentemente semplice. La famiglia da spot è composta da un brillante cardiochirurgo, Steven Murphy (Colin Farrel), da un’oftalmologa, Anna (Nicole Kidman) e dai loro due figli. Esteticamente perfetta nel suo micromondo, a turbarne la tranquillità giunge un misterioso sedicenne, Martin (Barry Keoghan), che, come in “Teorema” di Pasolini (1968), è “portatore” di una forza che sfugge alla razionalità su cui si basa il mondo borghese.
Il film, pur mantenendo una sua linearità, fuoriesce dal genere del thriller psicologico, dalle leggi e dai valori che caratterizzano il “nostro mondo”, per entrare in un universo mitico, governato dai tributi di sangue estremi (l’Ifigenia in Aulide di Euripide) e dalla legge del taglione. Un horror tuttavia sui generis. In “The killing of a sacred deer” non vi è alcuna manifestazione esplicita del soprannaturale quanto semmai una rappresentazione dei suoi effetti, fisici, sulla famiglia borghese del dottor Murphy. In coincidenza con l’allontanamento da Martin, infatti, i membri della “famiglia – spot” rischiano di subire una graduale degenerazione fisica senza un’apparente spiegazione razionale. La progressiva paralisi, l’assenza di appetito, le perdite di sangue, e la successiva morte: un destino che sfugge alla comprensione della scienza medica (secondo gli esami clinici i pazienti godono di un’ottima salute). Tutto questo sembra essere destinato alla famiglia del cardiochirurgo a meno che questi non realizzi una scelta. La tragedia di Lanthimos riposa nella difficoltà della scelta (Chi? Perché? Come? Quando?), nella drammatica illusione che sia possibile incontrare una soluzione migliore rispetto ad un’altra e che la responsabilità di tale decisione sia individuale.
Anche in questo caso, come nelle sue precedenti opere, il regista greco intende provocare lo spettatore, destabilizzarlo. Per raggiungere un’esperienza perturbante in grado di far riflettere il fruitore sulla sua realtà, sulla sua quotidianità, non è necessario alcun esorcismo né un esplicito sortilegio, tutt’altro. Per questa ragione la rottura dell’armonia iniziale non è causata da un evento esplicito. L’apparente perfezione iniziale si squaglia come neve al sole non tanto quando si scopre la vera identità di Martin quanto piuttosto quando si rivelano le abitudini del dottor Murphy. È la ricerca ossessiva di una soluzione da parte del cardiochirurgo, l’evento sovvertitore del film, l’anello che fa entrare un passato mitico nel nostro presente.
Ciò che destabilizza nel film di Lanthimos è il grottesco incontro tra le leggi che governano la tragedia greca e l’Antico Testamento e le regole che governano la nostra realtà attuale. Un passato che, una volta varcata la soglia della rispettabile casa, rivelerà come la distanza tra i membri più sofisticati e civili della nostra società e quelli più marginali riposi solo nell’apparenza. Le sicurezze sono solo una facciata: dinanzi alla concreta possibilità di morire, non vi è nulla (proprio nulla) che non si è disposti a fare perché l’infausta sorte non ricada su qualcun altro.
Giaime Ernesto Pupin
Yorgos Lanthimos
La sua carriera nel mondo del cinema è iniziata con il film “O kalyteros mou filos” (noto come “My Best Friend” a livello internazionale).
In seguito ha diretto il film speri- mentale “Kinetta”, che è stato pre- sentato al Toronto Film Festival nel 2005.
Il suo terzo lungometraggio, “Kynodontas”, ha vinto alla sezione Un Certain Regard del Festival di Cannes 2009 ed è stato candidato come miglior film straniero ai Premi Oscar 2011.
Nel 2011, il suo quarto film “Alps” ha vinto il Premio Osella per la migliore sceneggiatura alla 68a Mostra internazionale d’arte cine- matografica di Venezia.
Il suo quinto film “The Lobster” ha vinto il Premio della giuria al Festival di Cannes 2015.