THE OLD OAK
(Francia / 2023 / Drammatico / 115’)
04, 05, 06, 07 dicembre 2023
North of England, 2016. The Old Oak (La vecchia quercia) è un pub (l’unico luogo nel quale ritrovarsi dopo che tutto il resto ha chiuso) di un paesino ex minerario vicino a Durham. “Ex” perché la miniera è stata smantellata da tempo, la gente si è impoverita, le case vengono vendute all’asta per una manciata di sterline e poi magari usate per alloggiamenti provvisori dei profughi ospitati da uno dei paesi più ricchi del mondo.
Recensione
The Old Oak, ultimo titolo in concorso al Festival di Cannes, ventisettesimo film del regista prossimo agli 87 anni e suo testamento (così dice, ma speriamo di no, si è già ricreduto in passato) potrebbe essere una buona definizione per Ken Loach e la sua benedetta, cocciuta lotta di resistenza.
La vecchia quercia del titolo è il nome dell’ultimo pub aperto nell’ex paesino minerario del Nord Est dell’Inghilterra, contea di Durham, con l’insegna che cade a pezzi e i vecchi che vengono a bersi una pinta di birra. Ma è il simbolo di tante cose: la memoria dell’ultimo sciopero a oltranza dei minatori, nel 1984 di Margaret Thatcher, la solidarietà che può rinascere sopra le guerre tra poveri che la spietata logica della globalizzazione scatena.
Nella stessa regione, quasi ai confini con la Scozia in cui Loach aveva girato Io, Daniel Blake (Palma d’oro a Cannes 2016), il Governo britannico insedia una pattuglia di rifugiati siriani. La rabbiosa accoglienza dei locali è cronaca vera del 2016: tra l’altro l’Amministrazione ha comprato gli alloggi per quattro soldi sulle aste online, e di riflesso deprezza le case di tutti. I ragazzini del quartiere vedono pacchi di vestiti offerti agli intrusi, addirittura una bicicletta: “La vorremmo anche noi una bicicletta!”.
L’incontro provvidenziale nasce da un’aggressione: uno scalmanato ha rotto la macchina fotografica che è l’unico bene di Yara (Ebla Mari), e il proprietario del pub, figlio di minatori, TJ Ballantine (Dave Turner) l’aiuta a pagare la riparazione. Le chiacchiere al pub condensano l’intero repertorio (anche comprensibile) dei residenti contro gli intrusi: a scuola i loro bambini non sanno una parola di inglese, i nostri figli resteranno indietro, eccetera eccetera. Ma Yara sa fotografare, le donne del paese la adottano e lei si accorge che miseria e problemi sono comuni.
“Non è carità, è solidarietà – cerca di far capire TJ Ballantine ai suoi compaesani – è gente che si vergogna di non poter sfamare i propri bambini in uno dei Paesi più ricchi del mondo”. Isolato e sbeffeggiato via social quando il retrobottega andrà a fuoco, sarà un’imprevedibile mobilitazione emotiva del paese, sull’onda di una notizia tragica dalla Siria, a salvare TJ dal suicidio.
Il cinema di Ken Loach, in sodalizio con la sceneggiatura dello storico collaboratore Paul Laverty, è sempre a tesi: è battaglia politica. Fare cinema che milita per la speranza, oggi, è tutt’altro che facile. “Forza, solidarietà, resistenza”, si legge sullo stendardo che i siriani hanno confezionato per gli amici inglesi. “Ma io suggerirei di aggiungere: agitare, educare, organizzare – dice Loach a Cannes – perché senza l’organizzazione non potremo mai vincere la nostra battaglia per un mondo migliore”.
Anche la speranza è una questione politica. “È la fiducia – per il regista – che le cose possano cambiare, nonostante le destre oggi al potere in mezza Europa. Dobbiamo armarci di questa speranza politica per smascherare le loro menzogne. Noi – Paul e io – crediamo fermamente che un giorno chi sta dalla parte giusta potrà vincere”. La vecchia quercia ha radici robuste.
Teresa Marchesini, www.huffingtonpost.it