UN MESSICANO SULLA LUNA
(Messico, Italia / 2024 / Commedia / 98')
11, 12. 13, 14 novembre
Nell’estate del 1969 la corsa allo spazio è sulla bocca di tutti, e si intreccia a questioni di geopolitica globale. Ne arrivano le ramificazioni fino a una piccola cittadina del Messico, Comala, dove Simón sogna di diventare un grande giornalista lasciandosi alle spalle il quotidiano locale. Per ottenere il posto di cronista a Guadalajara che lo faccia svoltare, decide di rendere memorabile un articolo sullo sbarco dell’Apollo 11 sulla Luna, ingigantendo una voce che vorrebbe l’astronauta Neil Armstrong essere nato in realtà in un paesino del Messico.
Recensione
Questa commedia messicana di buon mestiere, che lancia lo sguardo alla conquista dello spazio ma tiene i piedi ben saldi nella realtà popolana del paese e della gente comune che lo abita, ha un’origine dolceamara. Si tratta infatti di un progetto scritto e sviluppato dal regista Francis Levy Lavalle, venuto poi a mancare poco prima delle riprese. La sceneggiatura ricalca l’omonimo romanzo di Manuel Sánchez de la Madrid, scrittore, giornalista e direttore del Diario de Colima, quotidiano messicano. In memoria di Levy Lavalle, hanno preso in mano le redini del progetto l’aiuto regista José Luis Yañez Lopez e Techus Guerrero, confezionando un omaggio non solo alla persona, ma anche al luogo che gli apparteneva, lo stato di Colima.
È qui che si svolge la pazza indagine giornalistica del buon Simón, attraverso il volto-maschera di Héctor Jiménez, che rimane sempre in contatto con la radice epica della sua impresa, nonostante la premessa al limite dell’assurdo che governa la storia. Basta una voce, un commento avventato durante una cena, a evocare la vicenda misteriosa di “El Güero” Armstrong, icona della mitologia americana che non sarebbe altro che un immigrato messicano. Mentre l’elemento comico evolve nel sentimentalismo, questa co-produzione tra il Messico e l’Italia (perfino nel cast, dove spunta Alessio Lapice in un ruolo di supporto) rimane sincera e godibile pur nella semplicità della realizzazione.
Tra le varie peripezie è significativo però che emerga un ritratto del “pueblo” e della comunità di un paese, vista attraverso i pilastri che la governano: familiari, burocratici, informativi e religiosi. Tutti lavorano insieme per proteggere i segreti, e quando necessario anche per tutelare una menzogna. Una fiducia incrollabile nel sistema collettivo che guarda con benevolenza a coloro che sono partiti, che sia per l’America o per la Luna. Un messicano sulla luna è una commedia scanzonata, all’insegna di frame dai colori pastello, desaturati dall’arsura del sole messicano e di un umorismo impacciato, che strizza l’occhio alla più classica commedia degli equivoci. Il personaggio di Simón, con il suo motto ripetuto così tante volte da fargli perdere ogni significato, incarna una figura macchiettistica di giornalista: il suo giornalismo “è la ricerca incessante della verità”, rivela la debolezza di una visione ingenua e manichea di cosa significhi “ricerca”, ma soprattutto di cosa sia la “verità”. Cos’è la verità in un mondo dove esistono solo narrazioni? Cos’è la ricerca incessante della verità quando non esistono verità da svelare né punti di arrivo? Ma soprattutto: qual è l’atteggiamento che un giornalista deve assumere quando si trova a dover scegliere tra rivelare la verità a tutto il mondo e tutelare le persone e le comunità coinvolte? Un messicano sulla luna sembra fornire una risposta attraverso un finale tenero e conciliante: nel momento in cui Simón si sottrae alla gara e alla smania dello scoop da accalappiare, gli viene concesso il privilegio di accedere alla verità e di trasformarla in una storia.