UN PASTEUR
(Documentario / Francia / 2024 / 71’)
Venerdì 13 dicembre – ore 20.30
Genziana d’Oro Miglior Film – Gran Premio “Città di Trento” al Trento Film Festival 2024
Félix, un giovane pastore malinconico e riservato, conduce una vita sospesa, fuori dal tempo. Vive da solo e lavora con il padre per allevare il gregge di famiglia. Dall’autunno alla primavera si prende cura dei suoi animali, li nutre e li custodisce nelle fitte foreste di lecci delle prealpi francesi. In estate, lascia il padre e percorre più di duecento chilometri a piedi per condurre la mandria ai pascoli di montagna, fino alla valle dell’Ubaye, nelle Alpi dell’Alta Provenza. Lì, per lunghi mesi, lontano da tutto e da tutti, vive in un mondo fatto di rocce, inaccessibile, dove si aggira un essere invisibile: il lupo. Contro le convenzioni e la consuetudine del mondo contemporaneo, Félix ha scelto una professione che lo isola e lo tiene lontano dal mondo.
ALTITUDINI – luoghi | storie | sguardi
In collaborazione con Trento Film Festival e Club Alpino Italiano – sezione di Schio
Ingresso ridotto per i Soci CAI
Recensione
Un film contemplativo, che vive dei silenzi dei paesaggi d’alta montagna. Félix, pastore protagonista del film, è spesso inquadrato in campo lungo o lunghissimo, solitario su un cocuzzolo di una montagna, nelle valli, e così il suo immenso gregge a volte è ripreso dall’alto, apparendo come formiche. A volte il film mostra le cime pervase dalle nuvole, o paesaggi crepuscolari, o cattura l’ultimo raggio di sole del tramonto, che spunta da una montagna dal profilo con una rientranza. Quasi nulla si dice e quasi nulla si sa rispetto a quel mondo, collocato in Francia ma comunque indefinito: se se non fosse per la lingua parlata, potrebbe essere ovunque su una montagna.
Louis Hanquet compie un lavoro osservazionale e segue tutti i canoni di un certo cinema del reale, vedi i momenti di discussione sulla minaccia dei lupi. La dedizione alle sue pecore è maniacale, come fosse un padre per loro. Lo vediamo accanirsi per salvare un agnellino neonato esanime, senza successo. Ma in quel mondo non si butta via niente e prontamente riesce a spellare il cadavere per farne come un cappotto per un altro agnellino. Alle immagini idilliache di cui sopra fanno da contraltare quelle oscure e minacciose dei lupi, riprese notturne con telecamere a infrarossi, come il negativo delle altre immagini. Il lupo bianco su sfondo scuro ha una consistenza fantasmatica, da mastino di Baskerville. Una sua immagine è raccordata in montaggio con una carcassa di pecora. Un’altra scena finisce con Félix che si sveglia, suggerendo così la consistenza onirica di quelle scene in bianco e nero.
La vita di Félix è ascetica, da eremita. I suoi contatti umani sono il padre e i suoi colleghi pastori, con i quali a volte si unisce per cantare davanti a un falò. Ciononostante non è isolato dal mondo. Vari sono i segni di una realtà esterna, dal manifesto in casa della Route 66, la leggendaria strada che attraversa gli Stati Uniti, o dalle notizie che arrivano sulla guerra ai talebani. Ma il suo sguardo principale è allo scrittore portoghese Fernando Pessoa e alla sua opera Il guardiano di greggi, parte del nucleo di poesie che scrisse sotto il nome di Alberto Caeiro. Félix si rivolge al padre mentre ne legge un brano, in un prato insieme al cane: «La mia anima è quella di un pastore, conosce il vento e il sole e cammina per mano con le stagioni. Sono un guardiano di greggi, le greggi sono i miei pensieri, i miei pensieri sono tutte sensazioni. Penso con i miei occhi e le mie orecchie, e con le mie mani e i miei piedi, e con il naso e la bocca».
Giampiero Raganelli, quinlan.it