UN UOMO FELICE
(Commedia / 2023 / Francia / 89')
La “svolta” della donna getta scompiglio nella vita del marito, che vuole ricandidarsi, a due livelli: quello politico, perché il conservatore è destinato a perdere voti a causa della moglie “contronatura”, e il lato intimo che risulta funestato dall’annuncio (si può ancora fare sesso con una donna che assume ormoni, alla quale crescono i baffi?). In più significativamente siamo nella provincia, un piccolo centro che metaforizza un certo tipo di arretratezza, ma corre il sospetto che Parigi non sia molto diversa (come Roma, Milano…): la transizione da donna a uomo suona inaccettabile, perché non si riesce a capire. La tua libertà finisce appena disturba il mio pregiudizio. Sullo sfondo non va poi trascurato l’aspetto mediatico, che adesso si traduce naturalmente nel potere dei social network. Se Jean è un tipo vecchio stampo, pre-moderno, contrario a Facebook e Twitter e abituato a una rete sociale fatta di incontri dal vivo, molto diversa è Edith/Eddy che sceglierà proprio una story su Instagram per sbloccare la situazione. Il regista conduce il gioco attraverso una grammatica cinematografica lineare, leggibile, senza voli pindarici, sappiamo già come andrà a finire, l’uomo felice del titolo se possibile saranno entrambi, ma tutto ciò non smorza la riuscita.
Il cinema LGBTQ+ è un genere che talvolta tende un po’ a ripetersi, portando a prevalere la forza del tema sulla sua messinscena, basta farsi un giro in alcuni festival per rendersi conto (generalizzando: il film queer è spesso a tesi). Ecco allora l’importanza di Un uomo felice che, tra le altre cose, offre una parentesi didattica ma non didascalica anzi semplice e precisa: la sequenza del gruppo di ascolto, che fa chiarezza nella selva di definizioni, nella ridda di etichette, spiegando chi è una donna che diventa uomo forse anche alla diretta interessata. Un esercizio di esattezza di cui, tutto sommato, c’è ancora bisogno.
Recensione
L’innocente si regge su un ritmo sorprendente, grazie a un fuoco di fila di situazioni e dialoghi che spinge lo spettatore a una risata quasi ininterrotta: Garrel gestisce questo aspetto con mano sicura, sempre cercando in modo sotterraneo di far percepire i veri sentimenti che agitano il suo personaggio, l’incapacità di accettare il proprio posto nel mondo, il lutto e la sua insostenibilità, la perdita di senso della vita, il progredire privo di logica delle cose. Tutto schiaccia in realtà Abel, che vorrebbe proteggere una madre che non vuole essere protetta, comprendere un uomo che potrebbe essere suo padre ma non lo è, affrontare le proprie paure che lo sormontano, devastandolo, e avere la capacità di innamorarsi di nuovo, magari della sua migliore amica, quella Clémence che arriva anche a coinvolgere in un piano assurdo, che ovviamente non sa gestire: dapprima si tratta di pedinare Michel, per capire cosa ordisca alle spalle di Sylvie, ma poi vi si deve diventare complici. Anche perché non è possibile sfuggire alla rappresentazione di sé, a quell’infinito recitarsi che è la parte reale e fondativa dell’essere borghesi: recitare se stessi, interpretare il ruolo per il quale si è portati, o che permette di essere ritenuti credibili. Giocando con l’heist movie, il genere che fa della finzione di sé – la rapina, che è sempre una truffa – il punto centrale e determinante del proprio discorso, Garrel mette in scena un colpo pressoché perfetto, coinvolgendo il pubblico in un meccanismo divertente, ma non privo di un retrogusto amaro. Perché anche nell’interpretazione i proiettili sono davvero proiettili, e i cuori possono essere irrimediabilmente spezzati. Grazie anche a un gruppo di attori in forma smagliante (oltre a se stesso, sempre più sublime nelle interpretazioni, spiccano Noémie Merlant, Roschdy Zem, e Anouk Grinberg) Garrel riesce a costruire delle sequenze memorabili e spassose: l’inseguimento di un blindato, una cena in cui ci si finge coppia e che termina con la più lacerante dichiarazione d’amore, il pedinamento di un uomo portato a termine grazie a una app che permette di non perdere il proprio animale domestico. Momenti di grande commedia che Garrel gestisce con mano sicura e sguardo ispirato. Forse prima o poi sarebbe il caso per Cannes di prendere in considerazione Garrel anche per il concorso ufficiale, magari evitando di esporlo al pubblico ludibrio come fecero con il padre Philippe in occasione dello splendido La frontiera dell’alba, mandato scandalosamente al massacro nel 2008, e il cui protagonista era proprio Louis Garrel.
Raffaele Meale www.quinlan.it