VIAGGIO AL POLO SUD
(Francia / 2023 / Documentario / 87')
16, 17, 18, 19 dicembre
Jacquet partì nel 1991 per la sua prima missione in Antartide e da allora, inesorabilmente attratto dalla sua magnificenza, ci è tornato numerose altre volte. A distanza di trent’anni dal suo primo viaggio, decide di documentare la natura selvaggia che va dalla Cordigliera delle Ande a Capo Horn, attraversando paesaggi magnetici, distese bianche di ghiacci dove vivono foche leopardo e pinguini. L’esploratore vuole dedicare la sua opera a un continente dal fascino incommensurabile che sta rischiando di scomparire a causa della minaccia del cambiamento climatico.
Recensione
“La sensazione di essere colmati dallo splendore del mondo”: è questo ciò che sostanzia Viaggio al Polo Sud, di Luc Jacquet. Il regista fa esattamente questo: osserva l’incredibile paesaggio dell’Antartide, dall’esterno, con tutto il rispetto che questo richiede nella sua maestosità, mettendosi in un atteggiamento di ascolto, ma al contempo con coinvolgimento e amore, entrando in esso su un piano più profondo, potremmo dire spirituale. L’intenzione sottesa al film sta in una dichiarazione del regista: “Ho voluto concedermi una grande libertà per condurre lo spettatore oltre la semplice descrizione di paesaggi che oggi si può facilmente reperire sui social network o nei documentari. Qui volevo raccontare piuttosto i paesaggi dell’anima. Per questo, in sintonia con Christophe Graillot, il direttore della fotografia, ho scelto un approccio differente. L’obiettivo era allontanarci dal realismo e avvicinarci ai rapporti emotivi”. E infatti questo film, più che guardarlo, lo si sente. Nel senso che lo si vive. Si entra davvero in quella dimensione, in quello spazio immenso; si vive davvero il rischio della traversata da Capo Horn (la via che Jacquet preferisce per arrivare in Antartide è quella della Patagonia cilena), si vedono davvero le acque ingrossarsi sotto di noi, scure e tempestose; e si percepisce pienamente la meraviglia del bianco. Jacquet osserva discreto, spiegando qualcosa attraverso l’uso della voce narrante e allo stesso tempo riflettendo, e noi osserviamo e riflettiamo con lui. È un’esperienza sensoriale. E lo è innanzitutto perché, come si diceva, lo scopo dell’opera non è documentaristico, ma è quello di portare lo spettatore a fare a sua volta un viaggio, anche nella sua anima, per cui il film è suggestivamente girato in bianco e nero, tranne che nel breve momento in cui il ghiaccio diventa azzurro. Per la fotografia strepitosa, che gioca con la scala dei campi e dei piani per darci tutte le possibilità di visione di quelle terre, anche alzando la camera al cielo o facendola entrare nell’acqua, a riprendere il ghiaccio e, sotto di esso, le foche. Per il lavoro sul suono (“Questo film è una conversazione tra immagine e suono”, che non vuole descrivere ma trasmettere sensazioni”), che contribuisce all’effetto cinestesico del tutto. Un lavoro sui sensi. E infine per la poesia di alcune immagini, come quella conclusiva: Jacquet inquadrato in campo lunghissimo dall’alto, piccolo piccolo, puntino nero in un mare di bianco, che parla dello splendore del mondo sulle note del Nisi Dominus RV 608: Cum dederit di Antonio Vivaldi.
Paola Brunetta, www.cineforum.it
Le condizioni del viaggio, solitarie e proibitive, consentono di giustapporre (fin troppo didascalicamente) l’infinita irrilevanza dell’essere umano ad un Polo Sud che si fa sin da subito maestoso, minaccioso, dominante, proibitivo. Tra il caduco e l’eterno, tra uomini che passano, animali che vi dimorano e alberi che essiccano, “mi rimpicciolisco con piacere e affido il mio destino a forze titaniche, il minuscolo e l’immenso si confondono”, sussurra lo stesso regista, per l’occasione sdoppiatosi anche come narratore.
Eppure, oltre le parole, s’impone, piano dopo piano, la scelta retrò del bianco e nero a sprazzi bluastri che, se calca sulla dialettica uomo-Natura, infonde un senso misterico oltre che un afflato lirico agli scenari, creando un telaio visivo più espressionistico che naturalistico. Finiscono saturati, così e nobilitati il biancore dei ghiacciai, l’aspra immensità delle nevi, il nero dei crepacci e dei gorghi creati dalle masse d’acqua sciolta, fino alle goffe marce e alle pause in riva al mare degli amati pinguini.
È, in altre parole, la sensibilità, la devozione, la commozione di Jacquet che erompe, riplasma e riscalda un doc in itinere, anfibio e sinottico, dalla forte impronta autoriale, dal tasso estetico pronunciato, dal filtro soggettivo gettato sull’oggettiva impassibilità dei ritmi e del regno naturale.
Davide Maria Zazzini, www.cinematografo.it