WOMAN AT WAR
12, 13, 14 febbraio 2019
Halla, un’insegnante di musica over 40, sembra avere più di un’identità. Dietro alla routine della protagonista, a cui fa da sfondo l’immota realtà islandese, si nasconde una donna frenetica che non accetta alcun compromesso pur di mantenere intatto l’ecosistema che la circonda. Fino a che punto saprà spingersi la protagonista per far valere le proprie ragioni?
Scheda tecnica
Titolo Originale
Kona fer í stríð
Regia
Benedikt Erlingsson
Paese, anno
Islanda, Francia, Ucraina,2018
Genere
Commedia
Durata
101'
Sceneggiatura
Ólafur Egilsson, Benedikt Erlingsson
Fotografia
Bergsteinn Björgúlfsson
Colonna sonora
Davíð Þór Jónsson
Montaggio
David Alexander Corno
Interpreti
-
Recensione
L’ultima opera di Benedikt Erlingsson pone lo spettatore davanti a una domanda fondamentale: si è disposti a infrangere la legalità per difendere la legittimità delle proprie ragioni? Vi è legittimità nella disobbedienza? Halla sembra avere le idee ben chiare in merito. Lo scontro tra due diverse visioni del mondo, tra chi considera che l’ambiente ha un valore in quanto tale e chi valorizza lo spazio solo in termini di profitto, non sembra dare molto spazio d’azione per chi la pensa in termini “tradizionali” o “retrogradi” (perlomeno secondo l’opinione mainstream). Le leggi dello Stato difendono il “bene comune” più gettonato (soprattutto dopo la crisi del 2006): la crescita economica. Per chi, come Halla, si trova a combattere non solo contro un’impresa che si occupa della produzione di alluminio, ma soprattutto contro chi legittima questo tipo di economia, non esiste altro rimedio che porsi al di fuori dalla legge per difendere la superiorità dei propri valori, la loro legittimità. Ed è a questo punto che l’alter-ego della protagonista, “la donna di montagna” diviene un’ecoterrorista ricercata con l’ausilio di qualsiasi mezzo tecnologico a disposizione. Tecnologia contro cui Halla si appresta a combattere con cesoie, arco e frecce.
Il regista, tuttavia, non si accontenta di costruire il film su una disputa manichea “natura vs “progresso””. Sarà l’introduzione di una nuova figura femminile a dare un reale spessore alla protagonista. L’apogeo dello scontro (e della caccia all’ecoterrorista) coinciderà con un evento tanto atteso quanto inaspettato: la richiesta di adozione di una bambina ucraina, presentata da Halla quattro anni prima, è stata finalmente accettata. L’ovvia incompatibilità, perlomeno secondo i termini della legge, tra l’ecoterrorismo e un’adozione internazionale, creerà un profondo dilemma interiore nella protagonista. Halla nel suo tentativo di conciliare le sue due aspirazioni non sarà sola. Riusciranno la sorella gemella, Ása, (maestra di yoga), la talpa nella polizia e l’aiuto improbabile di un cugino, a supportare Halla nell’ardua impresa?
Woman at war è un film difficilmente categorizzabile. Erlingsson arricchisce il genere avventura con l’humor scandinavo e con un richiamo al musical, in quanto la musica si rivela essenziale per l’economia stessa del film. Richiamandosi alla tradizione greca, il regista non utilizza la musica come semplice accompagnamento della vicenda, ma la trasforma in un personaggio. A dargli sostanza ci pensano “tre musicisti posizionati sullo sfondo di varie sequenze, intenti ciascuno a suonare il suo strumento” e, soprattutto, le tre cantanti ucraine in abiti tradizionali. Come si evince dalla nazionalità delle “coriste” saranno loro a ricordare, a più riprese, alla protagonista le possibili ripercussioni delle azioni di sabotaggio sulla sua aspirazione di essere madre. Nell’enfatizzare tale scontro interiore, Erlingsson ci ricorda di come nella vita non vi sia alcuna scala di valori assoluta, impermeabile ai cambiamenti di ciò che ci circonda. Una scelta compiuta in un recente passato può aprire possibilità inaspettate e porre in discussione ciò che fino a quel momento si considerava indiscutibile.
Woman at war è l’imperdibile racconto di come solo una continua lotta interiore ed esteriore sia in grado di definire ciò che è legittimo.
Giaime Ernesto Pupin